A Pawn Surrender comincia con Fall
in Love Again and Again, un’onda sonora – “(L’amore) Sale lentamente
come un’onda, lo sento crescere sulla mia pelle” – che cresce piano piano
con l’ingresso degli altri strumenti, aggiungendosi alla chitarra elettrica
e alla voce di Jordan Reynolds, ovvero Rose Hotel. Ricorda l’aggressione
emotiva di This is Love di PJ Harvey, anche se meno potente e liberatoria.
Rose Hotel rifiuta etichette da applicare alla sua musica, anche se l’eccessiva
libertà nel suo viaggio tra i generi corrispondeva, agli inizi della sua
carriera da solista, al timore di non avere un’identità precisa. Una paura
superata negli anni e un rischio accettato dalla cantautrice, oggi residente
ad Atlanta, Georgia.
La melodia dissonante e la psichedelia trasportano l’ascoltatore lontano,
in un’altra dimensione, fuori dal tempo. Fino a quando è il lampo dell’elettrica
a riorientarlo, insieme al rullo più incessante della batteria, al basso
più accentuato e al cantato ancora più acido, ma il ritorno sulla terra
è comunque soffice, non violento. La voce di Jordan Reynolds incanta:
si fa dolce-amara, a volte trasognante, a volte decisa, mentre canta l’età
adulta, per tanti piena di incertezze tanto quanto l’adolescenza. L’ipnotismo
erotico e quasi sarcastico di Fruit Tree
– dove l’invito ad assaggiarla come il frutto di un albero è dettato
da un ritmo cadenzato e teso, rafforzato nel ritornello o bridge (difficile
a dirsi quale dei due) – , l’indipendenza proclamata in Drown,
il rancore del country di Not Like That, la ninnananna di On
Your Side sembrano condurre, insieme agli altri brani, fino
a King and a Pawn, il fulcro tematico
del disco.
La scacchiera dove si giocano le nostre vite, come nel celebre film di
Bergman, non solo è il tema della canzone, ma ispira anche il titolo,
che guida e stringe insieme i dieci pezzi: “Siamo intrappolati in uno
stallo, ed è così sbagliato chiudersi in un angolo, evitando qualsiasi
mossa, rifiutando la resa, sebbene per entrambi sia la cosa migliore da
fare”. Sarà l’egoismo, sarà l’orgoglio, sarà la maschera che si indossa
quotidianamente e che falsamente viene chiamata identità, ma la difficile
distanza che gli esseri umani creano tra di loro, nell’odio come nell’amore,
si può solo abbattere con la resa. Un segno di debolezza purtroppo per
tanti, ma anche l’unica via per fuggire dalla mortale partita di scacchi
su cui ci giochiamo costantemente tutto, anche se con la paura costante
di perdere. A Pawn Surrender, più che promosso.