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The Telescopes
Halo Moon
[Tapete records 2024]

Sulla rete: thetelescopes.bandcamp.com

File Under: lisergic space rock


di Domenico Grio (22/11/2024)

Ce l’ha un po' il piglio dell’asceta Stephen Lawrie, padre padrone dei Telescopes, band inglese sulla scena oramai da oltre 35 anni. Non è un caso quindi che pian piano abbia abiurato al dream pop degli esordi per diventare profeta divulgatore di una esclusiva filosofia cosmica minimale che oltrepassa la dimensione planetaria e travalica la condizione umana. Halo Moon rappresenta il suo ennesimo e forse più deciso tentativo di tradurre in musica i suoi sforzi contemplativi, di assemblare un compendio atto a trascendere la realtà sensibile. Impossibile, infatti, non cogliere sin dalle prime tracce questo sguardo che punta oltre i confini dello spazio visibile. Tutto scorre molto lento e inesorabile, morbosamente e metodicamente ipnotico.

Non è materia per tutti, senza dubbio alcuno. Occorre avere una certa predisposizione per i ritmi bradicardici, per le danze notturne, per le preghiere siderali. Ma è anche vero che, una volta piegatisi al dilatare assillante dei brani ed al progettuale reiterarsi degli scenari, si può facilmente restare colpiti dal candore pulsante e circolare di queste marce fluttuanti in assenza di gravità. Entrati, insomma, nel necessario mood si dovrebbe riuscire a cogliere l’essenza di questo che, per chi ama cimentarsi in funanboliche catalogazioni, si può definire "dark electro psyco space rock". Questo perché le ambientazioni sono cupe, perché i brani hanno un passo lisergico, perché lo sguardo è sempre rivolto alla profondità dell’universo e perché l’itinerario si snoda all’interno di un circuito chiuso, efficace proprio per la ripetitività magnetica dei suoni.

Ci piace Shake it All Out che rotola, sorniona ed acida, come una liturgia svogliata. Stesso fascino indolente della fatalista Nothing Matters, che rievoca i canoni shoegaze a lungo sfruttati dalla band. Along the Way e This Train Rolls On, lugubri e rituali, stazionano più dalle parti degli Swans, mentre Come Tomorrow è una sorta di inno modellato sugli opulenti cerimoniali di Nick Cave o Leonard Cohen, dei quali però non possiede affatto la potenza evocativa. Non male neppure la criptica For the River Man, in cui un’armonica e qualche effetto luccicante servono a rivitalizzare lo scenario, allo stesso modo della suggestiva title track.

Detto questo, messo in chiaro che il lavoro merita certamente apprezzamenti, c’è però un aspetto che non convince appieno. Se è vero che il genere, piaccia o meno, richiede un’introflessione ed un’attitudine a muoversi tra le ombre, è altrettanto vero che non sempre il reiterarsi ciclico dei suoni riesce unitariamente nell’intento di condurre in una dimensione “altra”. A dirla tutta, il progetto non pare, per assurdo, sufficientemente coraggioso. Il disco avrebbe potuto funzionare meglio se Stephen, alla stregua di un Michael Gira o di un Alan Vega, fosse rimasto coerente con il suo indugiare nel buio esistenziale che evidentemente lo ossessiona. In altre parole ancora, Halo Moon è tetro ma non abbastanza, seduce ma non abbastanza, è angoscioso ma non abbastanza, è avvolgente ma non penetra così in profondità, è ipnotico ma non estatico, dovrebbe “irritare l’anima” ma banalmente si “arrende all’amore”.



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