Teatrale, misterioso, dalle ammalianti sfumature
da chanteuse della notte, con accostamenti e metafore che esplorano amore,
desiderio, “legami di sangue” e “strumenti di guerra”, attraverso liriche
che alternano visionarietà e tenerezza, il secondo album di Vera Sola
alza il livello delle ambizioni personali dell’artista californiana dopo
un esordio, Shades (2018), concepito in totale autarchia. Aveva
già fatto parlare di sé grazie a quel disco indipendente, con critiche
lusinghiere che ponevano la figura di Vera all’interno di un vasto panorama
di nuove muse folk, sebbene lei provenisse principalmente dal mondo dell’accademia
(studi di poesia a Harvard) e in seguito di radio e tv, con una carriera
avviata di voce narrante e doppiaggio.
Evidentemente il destino era un altro, già dal periodo in cui attraversava
in tour il paese nella band dell’amico e songwriter Elvis Perkins: forse
il fatto di essere entrambi figli d’arte li aveva uniti nelle passioni,
nonostante Vera Sola avesse in casa un padre assai più coinvolto nella
musica. Danielle Aykroyd, questo il nome di battesimo della nostra protagonista,
è infatti figlia di Donna Dixon e dell’attore e comico Dan Aykroyd, il
“fratello blues” (e molto altro) entrato nell’immaginario popolare accanto
a John Belushi.
Peacemaker e Vera Sola però abitano altri luoghi sonori
e l’indipendenza dell’autrice sembra autentica quanto il suo desiderio
di staccarsi da qualsiasi dipendenza famigliare. Ne prendiamo atto e non
possiamo che darle ragione ascoltando queste canzoni dalla personalità
seducente, dove una sorta di western folk, annunciato dall’iniziale
Bad Idea (ai Calexico di un tempo sarebbe piaciuta...),
si abbandona ad eleganti orchestrazioni e qualche volta svicola in direzione
di un rock dalle maliziose atmosfere noir (The
Line) o in sinuose movenze che paiono un omaggio nemmeno tanto
celato al Tom Waits istrionico di Rain Dogs e dintorni (plateale in Get
Wise e Hands, anche per via degli interventi chitarristici).
Inciso a Nashville sotto la produzione artistica di Kenneth Pattengale
(Milk Carton Kids) e con la partecipazione di una dozzina di musicisti,
Peacemaker è in realtà rimasto a languire per qualche anno, interrompendo
un silenzio di sei stagioni dal precedente Shades. Si intuiscono
gli obiettivi di Vera Sola dalle stratificazioni di suono e arrangiamenti
che caratterizzano ballate come I’m Lying,
tra le migliori della raccolra, e Desire Path,
con la sua grandeur orchestrale, mentre la melodia di Waiting si
ammanta di un elegante stile retro e gli archi in Bird House disegnano
un paesaggio da dramma western. La vocalità di Vera Sola, seducente e
immersa nei riverberi, fa da collante a questa ideale colonna sonora tra
passato e presente dell'Ovest americano, non indifferente crediamo alla
figura di Lana Del Rey (Is That You), benché Peacemaker
insista nel ricamare quelle modulazioni da noir elettrico (Blood
Bond, la più rock e appariscente, che potrebbe passare per
una versione al femminile di David Eugene Edwards dei 16 Horsepower) e
torturate ballad da animali notturni (Instrument of War).
Qualcosa rischia di passare per eccessivamente artefatto o messo in posa,
ma il fascino dell’interprete e la cura delle ambientazioni è innegabile.
Sarà interessante capire se si tratta di un esperimento isolato o se Vera
Sola proverà a sfruttarne ancora le potenzialità nei prossimi album.