Il suo esordio era stato un disco folgorante. Se ne erano accorti in tanti: anche
sulle nostre pagine la giovane musicista anglo-italiana non era passata affatto
inosservata. Merito di una musica che trasudava visceralità e pathos, di una voce
a metà tra la rocker e la chanteuse francese (o tedesca) anni '30 e di una tecnica
chitarristica eccezionale, con la quale Anna Calvi coniuga sfuriate quasi
punk, il blues pre-guerra e divagazioni persino classiche. Chi durante questi
anni ha poi avuto la fortuna di assistere ad un suo concerto, ha scoperto anche
una performer incredibilmente magnetica, capace di tenere in pugno il proprio
pubblico con il solo sguardo e di creare un vero e proprio muro di suono, nonostante
la formazione ridottissima (lei alla chitarra e voce, Mally Harpaz volta per volta
all'harmonium, alla chitarra, al basso e alle percussioni e Daniel Maiden-Wood
alla batteria). È quindi evidente che tali premesse hanno creato, nei due anni
fra il suo primo album e questa nuova uscita, un'aspettativa notevole, con tutte
le conseguenze del caso. Ci si aspettava una maturazione stilistica della Calvi,
depositaria di un suono talmente peculiare, almeno in riferimento al suo disco
d'esordio, che poteva far presagire un adagiamento sui medesimi canoni del precedente.
In questo, One Breath dimostra tutta l'intelligenza artistica
della trentatreenne britannica. Traspare evidente fra i solchi la volontà di portare
avanti il proprio discorso musicale, cercando di superare quelle forme che avevano
reso così particolare (e, diciamolo pure, così affascinante) il suo primo disco.
Pur non rinunciando alla sua formazione a trio, che in studio si stratifica grazie
al lavoro di sovraincisione delle parti, Anna Calvi accoglie fra i propri musicisti
il tastierista John Baggott, già con i Portishead, che aggiunge un tappeto sintetico
che rende ancor più spettrali le sue composizioni. In più, in alcuni brani appare
anche una sezione d'archi, arrangiata da Fiona Brice. Ma quello che più appare
evidente è lo sforzo compositivo dell'autrice, impegnata a ricercare una scrittura
musicale che si distacchi almeno in parte dal suo recente passato. Il risultato
è un disco che alterna grandi momenti ad attimi di stasi, grandi brani a composizioni
piuttosto irrisolte. È il caso, per esempio, degli incalzanti beat, sintetici
e filtrati, di Piece By Piece e Love
Of My Life, che cercano di seguire strutture decisamente più pop che
in passato, strizzando l'occhio ad atmosfere quasi trip-hop.
Tuttavia,
gli episodi migliori sono quelli in cui la Calvi, pur nell'ambito di strutture
armoniche e melodiche leggermente più complesse di quelle dell'esordio, recupera
quell'intensità emotiva che aveva reso così peculiare il suo debutto. In questo
senso, risultano decisamente riusciti quei brani in cui al trio canonico si aggiungono
gli archi arrangiati dalla Brice, come Cry,
One Breath e Carry
Me Home. In queste canzoni, la Calvi perde un po' della sua carica
da rockeuse alla Siouxsie Sioux o alla PJ Harvey per vestire i panni di una Ute
Lemper o di una Edith Piaf, decisamente confacenti sia alla sua voce teatrale,
sia alla sua presenza scenica. In altre occasioni (il dittico iniziale Suddenly-Eliza
e nell'immaginifica Cry, coi suoi feedback chitarristici che costituiscono
l'unico episodio simile in tutto l'album) invece è una ripresa più o meno fedele
degli stilemi del passato a contraddistinguere la scrittura musicale e l'esecuzione.
Sono questi i momenti dove forse la Calvi dà il meglio di sé, fra improvvisi crescendo
e diminuendo e con la voce che risulta meno imbrigliata che in altri episodi.
Il finale, con le conclusive Bleed Into Me
e The Bridge, lascia spazio ad atmosfere più
meditative ed eteree, lontane dalla carnalità che traspira in gran parte dei brani,
risultando però forse un po' troppo monocordi e poco coinvolgenti. In definitiva,
One Breathe è piuttosto un disco di transizione, in cui
la Calvi prova ad aprirsi nuove strade musicali per non rimanere impantanata in
un suono standardizzato. Il risultato non sempre è stellare ma denota comunque
una classe ed una personalità decisamente sopra la media. E questo ci fa sperare
per il futuro.