Anna Calvi
One Breath
[
Domino 2013]

www.annacalvi.com

File Under: rock chanteuse

di Gabriele Gatto (15/11/2013)

Il suo esordio era stato un disco folgorante. Se ne erano accorti in tanti: anche sulle nostre pagine la giovane musicista anglo-italiana non era passata affatto inosservata. Merito di una musica che trasudava visceralità e pathos, di una voce a metà tra la rocker e la chanteuse francese (o tedesca) anni '30 e di una tecnica chitarristica eccezionale, con la quale Anna Calvi coniuga sfuriate quasi punk, il blues pre-guerra e divagazioni persino classiche. Chi durante questi anni ha poi avuto la fortuna di assistere ad un suo concerto, ha scoperto anche una performer incredibilmente magnetica, capace di tenere in pugno il proprio pubblico con il solo sguardo e di creare un vero e proprio muro di suono, nonostante la formazione ridottissima (lei alla chitarra e voce, Mally Harpaz volta per volta all'harmonium, alla chitarra, al basso e alle percussioni e Daniel Maiden-Wood alla batteria). È quindi evidente che tali premesse hanno creato, nei due anni fra il suo primo album e questa nuova uscita, un'aspettativa notevole, con tutte le conseguenze del caso. Ci si aspettava una maturazione stilistica della Calvi, depositaria di un suono talmente peculiare, almeno in riferimento al suo disco d'esordio, che poteva far presagire un adagiamento sui medesimi canoni del precedente.

In questo, One Breath dimostra tutta l'intelligenza artistica della trentatreenne britannica. Traspare evidente fra i solchi la volontà di portare avanti il proprio discorso musicale, cercando di superare quelle forme che avevano reso così particolare (e, diciamolo pure, così affascinante) il suo primo disco. Pur non rinunciando alla sua formazione a trio, che in studio si stratifica grazie al lavoro di sovraincisione delle parti, Anna Calvi accoglie fra i propri musicisti il tastierista John Baggott, già con i Portishead, che aggiunge un tappeto sintetico che rende ancor più spettrali le sue composizioni. In più, in alcuni brani appare anche una sezione d'archi, arrangiata da Fiona Brice. Ma quello che più appare evidente è lo sforzo compositivo dell'autrice, impegnata a ricercare una scrittura musicale che si distacchi almeno in parte dal suo recente passato. Il risultato è un disco che alterna grandi momenti ad attimi di stasi, grandi brani a composizioni piuttosto irrisolte. È il caso, per esempio, degli incalzanti beat, sintetici e filtrati, di Piece By Piece e Love Of My Life, che cercano di seguire strutture decisamente più pop che in passato, strizzando l'occhio ad atmosfere quasi trip-hop.

Tuttavia, gli episodi migliori sono quelli in cui la Calvi, pur nell'ambito di strutture armoniche e melodiche leggermente più complesse di quelle dell'esordio, recupera quell'intensità emotiva che aveva reso così peculiare il suo debutto. In questo senso, risultano decisamente riusciti quei brani in cui al trio canonico si aggiungono gli archi arrangiati dalla Brice, come Cry, One Breath e Carry Me Home. In queste canzoni, la Calvi perde un po' della sua carica da rockeuse alla Siouxsie Sioux o alla PJ Harvey per vestire i panni di una Ute Lemper o di una Edith Piaf, decisamente confacenti sia alla sua voce teatrale, sia alla sua presenza scenica. In altre occasioni (il dittico iniziale Suddenly-Eliza e nell'immaginifica Cry, coi suoi feedback chitarristici che costituiscono l'unico episodio simile in tutto l'album) invece è una ripresa più o meno fedele degli stilemi del passato a contraddistinguere la scrittura musicale e l'esecuzione. Sono questi i momenti dove forse la Calvi dà il meglio di sé, fra improvvisi crescendo e diminuendo e con la voce che risulta meno imbrigliata che in altri episodi. Il finale, con le conclusive Bleed Into Me e The Bridge, lascia spazio ad atmosfere più meditative ed eteree, lontane dalla carnalità che traspira in gran parte dei brani, risultando però forse un po' troppo monocordi e poco coinvolgenti. In definitiva, One Breathe è piuttosto un disco di transizione, in cui la Calvi prova ad aprirsi nuove strade musicali per non rimanere impantanata in un suono standardizzato. Il risultato non sempre è stellare ma denota comunque una classe ed una personalità decisamente sopra la media. E questo ci fa sperare per il futuro.


    


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