Quest'anno Fanfare di Jonathan Wilson finirà in molte classifiche di fine anno,
come anche nella nostra d'altronde. Questo nonostante abbia scatenato discussioni
ovunque (anche nella nostra redazione) sul suo reale spessore, se lui ci sia o
ci faccia solamente, o se il suo perfezionismo nel ricreare suoni e atmosfere
degli anni settanta sia solo perizia da musicista o arte con perizia. Ai posteri
l'ardua sentenza diceva un tale oggi poco di moda, quello che è importante è che
il produttore Jonathan Wilson ha una abilità che, messa al servizio di
artisti con più spessore compositivo, non può che portare risultati straordinari.
Fino ad oggi Wilson aveva messo il suo know-how tecnico a disposizione di nomi
giovani del nuovo indie americano (Dawes, Father John Misty, Mia Doi Todd tra
gli altri), ma con la firma su questo grande ritorno di un vecchio leone del folk
allucinato del Regno Unito come Roy Harper, Jonathan firma probabilmente
la sua migliore produzione.
Harper non pubblicava da tredici anni, da
quell'ostico quanto affascinante The Green Man del 2000, che fu però ignorato
dai più. E' sempre stato un problema esportare la musica di Roy Harper al di fuori
dell'Inghilterra, e se non ci erano riusciti i Led Zeppelin e i Pink Floyd, che
gli fecero non poca pubblicità in best seller come III e Wish You Were Here, pare
difficile che ci possa riuscire il giovane Wilson, per quanto colto nel suo momento
forse di maggiore notorietà. In ogni caso la perfezione raggiunta da Man
And Myth sta tutta nell'equilibrio con cui Wilson è intervenuto nelle
lisergiche folk-song del vecchio Roy, colto in stato di grazia compositiva straordinaria,
lasciando che sia solo la sua voce e la sua chitarra a parlare quando davvero
non c'è nulla da aggiungere (Time Is Temporary,
January Man, The Stranger), ma intervenendo
pesantemente laddove invece ha ravvisato la possibilità di rendere lo stile aspro
e spigoloso di Roy decisamente più levigato e melodico.
In questa direzione
vanno brani come The Enemy, la splendida Cloud
Cuckooland (dove Pete Townshend veste i panni di disturbatore
elettrico solitamente vestiti da Jimmy Page), e il gran finale di The
Exile. In mezzo i quindici minuti e passa di Heaven Is here,
uno di quei tour de force a cui Roy ci ha da sempre abituati (d'altronde Stormcock,
il suo capolavoro, conta solo quattro brani di simile lunghezza), in cui Jonathan
Wilson si diletta a giocare con ardite orchestrazioni e cambi di registro. L'operazione
ricorda molto l'incontro tra gli Okkervil River e Rory Erickson (nell'labum True
Love Cast Out All Evil nel 2010), ma Man & Myth resta un disco di Roy Harper al
100%, e pure uno dei migliori della sua già lunga e gloriosa discografia.