Ola Podrida
Ghosts Go Blind
[
Western Vinyl 2013]

www.olapodrida.com


File Under: dream-folk goes cinemascope

di Gianfranco Callieri (09/09/2013)

La Western Vinyl è una piccola etichetta, con sede in quel di Austin, Texas, fra le più singolari, intraprendenti e varie (per quanto riguarda il carnet delle proposte) di tutto il panorama indipendente americano. Nel suo catalogo, in mezzo a power-pop e guastatori elettronici, distese ambient e glaciali programmazioni post-rock, figurano da qualche anno gli Ola Podrida di David Wingo, forse meglio noto come compositore delle colonne sonore di alcuni film di David Gordon Green e Jeff Nichols. I due principali segmenti dell'attività di costui - l'estensione di scores e la conduzione di una band - erano sembrati, fino a oggi, in pratica sovrapponibili, entrambi sintonizzati sulla morbida lunghezza d'onda di un dream-folk cameristico, rilassato, soffice e fondamentalmente acustico, una sorta di incontro fluttuante tra le melodie dei Kingsbury Manx e le desolate mappe agresti dei mai troppo lodati Idaho.

Ghosts Go Blind
, terzo album degli Ola Podrida, cambia almeno in parte le carte in tavola. Non tanto per le liriche, di nuovo deputate a evocare i profili di esistenze ai margini dove le ombre sopravanzano di gran lunga le luci, a suggerire addii, finali sconsolati e chiose improntate a un'inesorabile amarezza, a trasmettere il senso vivo e doloroso di una disperata estenuazione. Né, d'altro canto, per la comunque benvenuta decisione di sfruttare i collaboratori Colin Swietek (chitarre), Matt Clark (basso) e David Hobizal (batteria) non alla stregua di semplici comprimari relegati sullo sfondo, ma come una vera band, densa, spregiudicata e compatta sia nella solenne scalata elettrica di Washing Away, sia nello spoglio sermone unplugged di Fumbling For The Light (quest'ultima contrassegnata, sul finire, da un assolo di sei corde di natura squisitamente younghiana). Il reale cambiamento di Ghosts Go Blind, e la sua efficacia, sta nel cambiamento dell'attitudine di Wingo, qui occupato come mai prima d'ora nel forzare i limiti della propria scrittura, nel cercare la palingenesi dello stile in taglienti aperture quasi punk (Speed Of Light) e nell'indie-rock in chiave emo dei Texas Is The Reason (Not Ready To Stop), in sorprendenti traduzioni degli Yo La Tengo più folkie (The Notes Remain) e in spassosi richiami all'epopea dei primi REM (Staying In).

Non pensiate però a un album mancante di coesione o troppo sbilanciato sul versante delle peregrinazioni sonore. A tenere insieme tutte le suggestioni di Ghosts Go Blind, peraltro riassunte con esattezza dai rintocchi elettroacustici di una title-track memorabile e spettrale (dato il titolo, non poteva essere altrimenti), provvedono la voce assonnata di Wingo, assimilabile a quella di un Jason Molina meno tormentato e più riposto, le atmosfere rarefatte e la proverbiale melanconia dei testi, talmente coerenti, nel loro continuo insistere su congedi bruschi, distacchi emotivi e profonde distanze sentimentali, da richiamare quei tramonti che il ferrarese Giorgio Bassani diceva illuminati da "lontane lampade sepolte". Ghosts Go Blind procura l'effetto di quelle lampade: non sempre si ha voglia di ricorrervi, ma in certi momenti (voi sapete quali), è un conforto sapere di poterle accendere.


     


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