Cory Branan
The No-Hit Wonder
[
Bloodshot/ IRD
2014]

www.corybranan.com

File Under: country'n'roll

di Fabio Cerbone (01/09/2014)

Sono almeno una decina d'anni che Cory Branan calpesta i vasti campi del rock americano di provincia senza particolari risultati, quanto meno a livello di consenso generale. Fanno eccezione gli amici musicisti e qualche addetto ai lavori, che per lui sembrano riservare sempre una buona parola: il suo vecchio amico di etichetta Ben Nichols dei Lucero, ad esempio, che ne citava le qualità del songwriting persino dentro una canzone (Tears Don't Matter Much), oppure Chuck Ragan, che lo definiva addirittura "the greatest songwriter of our generation", forse perdendo il senso della misura. Una cosa è certa, The No-Hit Wonder, con appresso tutta l'ironia del titolo, è il disco che giustamente gli attirerà qualche attenzione in più, compresa d'altronde la presenza in questa rubrica. Tutto meritato sia chiaro, e non un abile mossa di strategia discografica della Bloodshot, che al ragazzo ha concesso una seconda possibilità dopo l'interessante ma confuso Mutt di due anni orsono.

Certo, ci sono tutti gli specchietti per le allodole piazzati al posto giusto: le presenza di Jason Isbell e Caitlin Rose, nomi "caldi" della scena Americana, persino Craig Finn e Steve Selvidge dagli Hold Steady a dare la giusta spinta rock nella title track, storia di mille fallimenti comune a tanti, ma alla fine ci si rende conto che servono solo a gettare una mano di colore più acceso, il resto è tutta farina del sacco di Cory Branan. Il quale non ha mai suonato e composto in modo così sferzante e diretto, un american rock'n'roll effervescente e speziato di radici country il suo, che viaggia tra Memphis e Nashville, tenendosi bene alla larga dai manierismi di sorta e badando all'immediatezza delle canzoni (merito anche di Paul Ebersold, che produce con mano leggera). A suo modo irresistibilmente pop nella ricerca del gancio ideale, The No-Hit Wonder ha chitarre sudiste e tonanti, cadenze twang e ballate ispide all'occorrenza, una cast stellare di solidissimi strumentisti - Audley Freed (ex Black Crowes), John Radford, Sadler Vaden e la leggenda Robbie "The Man of Steel" Turner (Waylon Jennings, Charlie Rich) - ma soprattutto brani che hanno efficacia, immaginazione e un sense of humor tipico di chi ha sempre visto il rock'n'roll dalla parte della strada.

Ecco allora You Make Me, con il citato Isbell ai cori, partire a razzo, roba che avrebbe funzionato a meraviglia su Gold di Ryan Adams. Poi saltano dentro The Hold Steady e il battito di The No-Hit Wonder si fa serrato, cow-punk a rotta di collo nel segno di Jason & The Scorchers e Robbie Fulks. A Cory Branan è sempre piaciuto far saltare il banco, sparigliando le carte e allora dopo una perfetta ballata pop rock come The Only You, gli salta in mente lo stantuffo rockabilly di Sour Mash insieme a Tim Easton, prima di passare per le maglie roots & swing di C'mon Shadow e il suo piano da saloon: l'eclettismo è stata croce e delizia del suo stile, questa volta però tutto fila liscio perché le canzoni sono semplicemente belle e rotonde. Sarà il tepore della famiglia, due figli e l'idea di avere messo la testa a posto, ma sono lontani i tempi in cui lavori come The Hell You Say o 12 Songs sembravano soltanto abbozzi e promesse. Oggi c'è il rock che profuma di Americana da strada maestra in Missing You Fierce e The Highway Home, il country baldanzoso e insaporito di cajun di Daddy Was a Skywriter, con quella tempra inconfondibile di narratore che possiedono solo gli americani, una ballata honky tonk da manuale quale All the Rivers in Colorado, con una melodia dolcissima che ti si stampa in testa dopo un ascolto nel juke box e riecheggia al fianco delle voci di Caitlin Rose e Austin Lucas.

Un songwriting diviso tra luci e ombre, graffiante e romantico a seconda dei casi, un autore finalmente maturo colto nel momento più ispirato.


    


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