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everybody is a dream machine di
Gianuario Rivelli (09/09/2014)
Dopo
un Saturday Nights & Sunday Mornings dalla genesi sofferta e dall’esito controverso,
dopo il lungo silenzio discografico (perlomeno sul fronte inediti) e le lune imprevedibili
e cangianti di Adam Duritz, uccellacci dalle ali nere si erano addensati sulle
teste dei fan dei Counting Crows. La notizia di nuove canzoni in uscita
dopo sei anni più che con curiosità e impazienza, era stata da taluni accolta
con un misto di circospezione e diffidenza, tanto più che il fiammeggiante covering
dell’ottimo Underwater
Sunshine (2012) più che gettare semi di nuove speranze, aveva instillato
dubbi su un ineluttabile inaridimento creativo. Per una volta il pessimismo era
mal riposto: l’appropriarsi di canzoni altrui, il cantare quel che piace e non
quel che si deve aveva tolto pressione alla band, riaccendendo l’ispirazione del
leader con i dreadlocks. Il suono acceso e fresco di quelle cover era l’embrione
di quel che poi sarebbe diventato Somewhere Under Wonderland, nove
canzoni vitali, coinvolgenti, frutto di rapide session nella casa newyorkese di
Duritz (cinque di questi brani sono nati in soli sei giorni), con un ruolo più
incisivo degli altri componenti in fase di scrittura.
Prodotto da Brian
Deck, il sesto disco di inediti della band californiana non assomiglia a nessuno
dei suoi predecessori (se non, a tratti, a Recovering the Satellites) ma non aspettatevi
abiure o rivoluzioni: siamo sempre sospesi tra rock e pop, radici piegate al loro
sound, chitarre energiche (David Bryson, Dan Vickrey e David Immerglück) e organo
e tastiere (a firma del sempre impagabile Charlie Gillingham) a cesellare il tutto.
Semmai, come detto, la rivoluzione è nella naturalezza con cui sono fuoriusciti
i pezzi e nella leggerezza che trasudano, nonostante le trame sonore siano tutt’altro
che banali, vedi l’esaltante Cover Up the Sun,
autentico capolavoro di country rock vintage in cui Gillingham si esalta a punteggiare
con il piano una melodia cristallina e senza tempo. Il manifesto di questa rinascita
è Scarecrow, uno dei vertici non solo di questa
raccolta ma del loro intero songbook, una miscela esplosiva che così può riuscire
solo a loro: chitarre calibratissime, romanticismo, ritornello micidiale, coretti
(do-do-do-do), liriche che scorazzano da una parte all’altra dell’America tra
personaggi (John Doe, Geronimo), luoghi, icone (Miss America, guerra fredda, peepshow,
Rolls Royce) e ineffabile tocco Crows. Un capitolo a parte lo merita Palisades
Park, brano di apertura e singolo di lancio di oltre 8 minuti: una
mini suite con lungo intro in cui duettano sommessamente tromba e piano che poi
diventa una classica piano ballad con ritornello scatenato, quindi sfocia in un
finale fin troppo stirato in cui Duritz si produce in uno dei suoi monologhi a
briglia sciolta a metà tra talking e canto.
Che il frontman sia in libertà
vigilata (speriamo definitiva) dai suoi fantasmi è evidente in Earthquake Driver,
saltellante e irresistibile pop-rock con tanto di battimani, wurlitzer e humour
diffuso anche nel testo (terror incognito/ o-bla-di/ li-bi-do). Ed è una goduria
assistere alle chitarre che si rincorrono nella sfrenata Elvis
Went to Hollywood, power-pop di razza che sembra sfornato da una band
all’esordio e non da chi ha alle spalle oltre vent’anni di carriera e milioni
di copie in saccoccia. E il Duritz proverbiale, quello in cui malinconia e dolcezza
vanno oltre il livello di guardia? Tranquilli, i suoi aficionados saranno serviti
in God of Ocean Tides, ma soprattutto nella magnifica Possibility
Days, ballad di intensità parossistica, in cui il suo canto si fa accorato,
quasi sofferente. Prezioso e destinato a scalare posizioni nel cuore dei fan come
le cose che arrivano quando non te le aspetti, Somewhere Under Wonderland oltre
che un grande disco, è anche una fucina di nuovi coriandoli da lanciare dal vivo,
quindi il consiglio vigoroso è di non mancare le due date italiane (evento più
unico che raro) del 22 e 23 novembre a Padova e a Milano. E sperare che la musa
che ha nuovamente strizzato l’occhio ad Adam F. Duritz per queste nove meraviglie
non si allontani da lui e gli faccia sognare altre melodie come quelle che da
vent’anni in qua ci hanno cambiato la vita. Tanto poi a contare i corvi ci pensiamo
noi.