| | |  | | James
Maddock
The Green
[Appalloosa/
IRD
2014] www.jamesmaddock.net
File Under:
New York City serenade di
Fabio Cerbone (29/12/2014)
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Muovendosi nella direzione esattamente opposta rispetto al suo predecessore, il
quarto disco in studio di James Maddock accentua la scrittura pop dell'autore
e insegue un suono spesso sovrarrangiato. Appare distante insomma l'approccio
elettro-acustico e intimista del passato, che rendeva Another Life un sottovalutato
album di passaggio, verso una sorta di maturità del songwriter di adozione newyorkese.
The Green non snatura le caratteristiche della musica di Maddock,
sia chiaro, da sempre incline all'immediatezza della migliore scuola pop rock,
ma la carica di eccessiva enfasi. L'impressione è che alcuni brani siano ancora
di prima scelta, almeno in tre o quattro episodi degni di quella romantica liricità,
che è tratto tipico di questo folksinger inglese emigrato in terra americana,
ma in qualche modo vanificati dalle cure produttive di Iestyn Polson (personaggio
che ha lavorato con David Gray, e qualche tratto si coglie qui e là, e
Patti Smith).
Una buona metà del materiale avrebbe davvero bisogno di
un ridimensionamento, per arrivare al cuore della canzone e non perdersi fra archi,
grandi riverberi degni di un big sound anni 80 e cori un poco sopra le righe.
Spiace dover sottolineare in prima battuta le imperfezioni di una raccolta che
mostra tuttavia il volto classicodel songwriting di Maddock, grazie alla traduzione
dei testi, come sempre inserita nell'edizione italiana curata da Appaloosa. È
un crescendo di ricordi e rimorsi ciò che pervade queste canzoni, da una parte
il prezzo della vita da musicista, il trovarsi fuori posto e sballottato nel mondo,
dall'Inghilterra fino alle vie di New York, dall'altra gli amori collezionati
e persi, oppure le brevi e intense cartoline dalla giovinezza. Parole che si tengono
in equilibrio tra fragile poesia, immagini vivide e semplicità di sentimenti,
a cui Maddock presta quella sua splendida raucedine, che lo ha più volte fatto
accostare ad un Rod Stewart in chiave rock urbana.
E la voce certamente
rimane uno dei punti di forza, che riesce a tenere insieme con tenacia The Green,
nonostante tutte le magagne di cui sopra: anche perché, quando le canzoni arrivano
dritte al bersaglio, James Maddock conferma di essere un grande artigiano pop.
Accade nel dittico iniziale con One There Was a Boy
e Rag Doll, chitarre e mandolini scintillanti
e una spedita atmosfera elettrica. È la dimostrazione che l'estro per acciuffare
al volo una melodia vincente c'è ancora tutto: nell'acustica, commovente
My Old Neighbourhood, per esempio, o nell'irresistibile armonia di
Too Many Boxes, forse il brano migliore dell'album.
Anche il curioso incedere spanish fra chitarre e violini di Crash by Design
strappa un sorriso benevolo. Poi però cominciano i guai e non passano certo inosservati:
la pomposità di una Speaking for The Man che ha il sapore di certe recenti
forzature springsteeniane, e peggio assai l'irritante pop dalle colorazioni dance
soul di Driving Around e Let's Get Out of Here, più adatte alla
programmaizione di una scialba radio commerciale che non alle qualità di Maddock.
Qualche sprazzo di luce, troppe forzature e l'impressione di un disco dove l'ambizione
sonora andava tenuta a freno.
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