Chuck Prophet
Night Surfer
[
Yep Roc/ Audioglobe
2014]

www.chuckprophet.com

File Under: Classic-rock jubilation

di Gianfranco Callieri (01/10/2014)

Non è una sorpresa, il suono magniloquente, particolareggiato, trascinante e spumeggiante di Night Surfer, perché sebbene la carriera solista di Chuck Prophet, dopo lo scioglimento dei Green On Red, fosse cominciata con tutt'altro stile, già il quarto The Hurting Business (2000) segnalava un tentativo piuttosto netto, ancorché discutibile, di mescolare riff, tastiere, effetti e ritmi black in un pentolone di omaggi alla morfologia arcaica e futuribile al tempo stesso di certi anni '70. Ma il disco citato, esaltante nella premessa benché un po' appannato sotto il profilo della scrittura, aveva il torto di arrivare dopo una tetralogia di lavori in pratica perfetta (e secondo chi vi scrive ancora oggi scandalosamente sottovalutata) e all'epoca, dietro alle canzoni epigrafiche di Brother Aldo (1990) e di un piccolo capolavoro come Balinese Dancer (1993), dietro al r'n'r mainstream di Feast Of Hearts (1995) e a quello più spigoloso e scontroso di Homemade Blood (1997), sembrò, anziché il tentativo di sorpassare gli schemi più abusati di certa canzone d'autore rockista, il passo falso di un artista magari pieno di idee relative agli arrangiamenti, ma per la prima volta a corto di brani memorabili.

Iniziava allora, per Chuck Prophet, una lunga fase segnata da lavori ogni volta deludenti, avari di emozioni, edulcorati, se si vuole anche creativi nel peregrinare tra generi (funky, electro-pop e dance compresi) e tuttavia rigidi e freddi quanto stoccafissi appena scongelati; questo finché, nel 2009, ¡Let Freedom Ring! e, tre anni dopo, l'ancora migliore Temple Beautiful, una specie di concept dedicato ai luoghi e ai volti dell'amata San Francisco, non ce l'hanno restituito secco, stonesiano e rock & roll come la sua vocazione originaria impone, in entrambe le occasioni arricchito da una piacevole vena pop e da una rinnovata propensione alla congettura di melodie irresistibili. Night Surfer, quindi, sintetizza le migliori qualità dei due predecessori e si propone quale certificazione di un'esperienza ritrovata (quella, appunto, del Prophet più ruvido e chitarristico), ma è anche molto altro.

A spiccare, nel disco, è il contrasto tra la semplicità e l'essenzialità delle composizioni, e il registro sfaccettato, sgargiante, poliedrico, utilizzato per incartarle. Accompagnato dalle sei e dodici corde di Peter Buck (REM), nonché dai tamburi di Prairie Prince (Tubes) e Bill Rieflin (Ministry, nientemeno), Prophet si diverte un mondo a bombardare le canzoni di Night Surfer a colpi di Telecaster, mellotron, organi, archi, percussioni, violini e flauti: lui dice di essersi ispirato agli Argent (il gruppo del tastierista degli Zombies, ma di certo quelli della prima fase, quelli, cioè, di Hold Your Head Up e God Gave Rock And Roll To You, non i progster noiosissimi della seconda metà dei '70) e a un imprecisato "glam australiano" (?), ma al di là dei riferimenti, a funzionare alla grande sono lo stile e gli accordi sempre in primo piano, sopra le righe, amplificati a dismisura quasi a voler creare un continuo, disorientante baccano di forme, utile però al confezionamento di micro-sinfonie pop al cui fascino è impossibile sottrarsi.

Ascoltando They Don't Know About Me And You, che parte (semi)acustica per evolvere in un cataclisma elettrico degno degli Who, l'impossibile matrimonio tra Replacements e Beach Boys di Laughing On The Inside, il beat marziale, alla T. Rex, di Love Is The Only Thing o il power-pop scombussolante di Wish Me Luck e Lonely Desolation, viene da pensare che Night Surfer possa essere il migliore Chuck Prophet degli ultimi vent'anni. Quando poi si passa alla ballatona rock-soul Guilty As A Saint, ai Creedence aggiornati nello sconquasso grungy di Countrified Inner City Technological Man e alle devastanti prolusioni dylaniane di Ford Econoline e Truth Will Out (senza dimenticare il punk-pop quasi perfetto della sontuosa Tell Me Anything), l'ipotesi diventa certezza. Anche Night Surfer, secondo l'autore, ha qualche ambizione da concept, ma non è necessario coglierne tutte le storie per apprezzarne lo spirito: in fondo sono sempre le solite, e immortali, faccende d'amore e solitudine, sintetizzate al meglio nella malinconia del protagonista di Guilty As A Saint, che si rammarica di dormire da solo nonostante i sei miliardi di individui presenti al mondo. Night Surfer prende la cacofonia incessante della nostra contemporaneità per rovesciarla in un espediente espressivo, infiocchetta i brani di dettagli per trovare uno stile inconfondibile e riesce nella non facile impresa di dominarlo invece di esserne dominato. Oltretutto, possiede ironia, umorismo, stratificazioni su stratificazioni della più efficace chitarra rock in circolazione (quella del titolare) e tonnellate di groove. Davvero non serve altro per dichiararlo, fin da ora, uno dei dischi dell'anno.


   


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