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heartland rock, folk punk di
Fabio Cerbone (15/04/2014)
Il
primo impatto è con quella voce: drammatica, carica all'inverosimile, sempre al
limite. Il retaggio punk che alberga nell'interpretazione di Chuck Ragan
non è scomparso e aleggia semmai come un ricordo costante sulla sua musica, anche
oggi che la sua carriera solista ha raggiunto il quinto episodio, senza contare
i mille progetti a latere e le molte collaborazioni a quattro mani con altri amici
songwriter. Di fatto il cambio di marcia è avvenuto tempo fa: dall'hardcore furente
degli Hot Water Music alla ricerca delle radici folk, dischi come Feast of Famine
e Gold
Country avevano colpito non poco l'immaginario di chi era sulle tracce
di un folk rock sanguigno e lontano dai clichè dell'Americana più compassata e
tradizionalista. Avevamo anche noi aperto il cuore alle ballate ardenti di Ragan,
fino al suo ultimo lavoro di studio, quel Covering
Ground che seguiva il vecchio adagio degli album concepiti on the road,
una strada che il musicista di origini texane ha accolto come il suo campo di
azione più congeniale.
E infatti un altro tour nazionale con The White
Buffalo (i punti in comune fra le due proposte artistiche sono evidenti) è in
procinto di accompagnare l'uscita del qui presente Till Midnight,
disco prodotto con l'ex Blind Melon Christopher Thorn a Los Angeles e che segna
una netta accelerazione di passo rispetto ai predecessori. Non sono cancellate
dall'orizzonte di Chick Ragan le pulsioni folk e le sue relazioni con una musica
che sappia di terra e tradizione, ma è indubbio che il trascinante "one two three
four" che introduce Something May Catch Fire,
la coralità rock (nel disco sono presenti le voci di Ben Nichols dei Lucero, di
Rami Jaffee dei Wallflowers, Dave Hause e molti altri) che smuove sotto la coltre
di violini e pedal steel possiede oggi un'anima più elettrica e vibrante, che
ritornerà con insistenza in episodi quali Bedroll Lullaby
(tra retaggi celtic rock e un'armonica blues), Non Typical, Gave My
heart Out e Whistleblowers Song.
Si
tratta dunque dell'album più ambizioso sin qui realizzato, ma probabilmente anche
del meno caratteristico, seppure il mutamento sia giustificato da una formula
che forse lo avrebbe imprigionato eccessivamente nel genere. Lo sforzo è dunque
apprezzabile (e comprensibile), nonostante le canzoni puntino spesso più sull'instinto,
su quell'impatto teatrale (e un po' "spingsteeniano", va da sé l'inevitabile
accostamente stilistico) che possiede la voce di Chuck Ragan e meno sulla sostanza.
Non sarà un caso che i momenti più toccanti di Till Midnight restino le sue incursioni
decise in territori alt-country (la classica Vagabond,
marchiata dalla steel dell'ottimo Todd Beene, la giga di You
and I Alone, su cui svolazza come sempre il violino del collaboratore
storico Jon Gaunt) e più in generale in un sound di stretta derivazione
folk (Wake with You, la coda finale con lacustica
For All We Care). Più impatto forse, musica trascinante come sempre,
ma meno canzoni memorabili o semplice mancanza di un effetto sorpresa.