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Hippy
Trigger
Hippy
[Decca
2014] www.triggerhippy.net
File Under:
southern soul rock
di
Fabio Cerbone (14/12/2014)
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Facile
da spendere, il termine supergruppo è tuttavia un puro anacronismo nel 2014: c'è
davvero qualcuno, eccezione fatta per gli indomiti "dinosauri" rock ancora in
circolazione, che possa fregiarsi del titolo? I Trigger Hippy ci provano,
anche se il raggio d'azione si è talmente ristretto - complice un mercato discografico
in agonia - che nel campo Americana in cui verranno cacciati, il loro omonimo
esordio risulterà semmai l'incontro di interessanti personalità e musicisti di
razza, nient'altro. Volessimo fare i conti in tasca alla band, qui di prime donne
non se ne vedono all'orizzonte: a meno di non considerare Joan Osborne
ancora sul piedistallo, dopo quel fortunato debutto del 1995, quando One of
Us spopolava su Mtv e Relish era una delle soprese di stagione.
È
la sua voce forse l'elemento più in vista dei Trigger Hippy, anche se Steve
Gorman, in libera uscita dai Black Crowes, resta pur sempre uno dei due o
tre migliori batteristi rock degli ultimi vent'anni e persino Jackie Greene
(che, guarda caso, con i Corvi ci ha suonato in tour) un autore e chitarrista
di un certo spessore, apprezzato più dai colleghi che dal grande pubblico. Insieme
formano l'ossatura della formazione, nata nei ritagli di tempo in qualche studio
di Nashville, e completata da due navigati marpioni delle sale di incisione, il
bassista Nick Govrik (Mike Farris band) e il chitarrista Tom Bukovac. Il quintetto
cattura lo spirito sudista e il gesto rock & soul che fa parte del loro bagaglio
musicale, regalando un disco di mestiere e ricco di feeling, dove l'intreccio
fra chitarre dagli accenti southern e voci grondandi black music producono gli
effetti desiderati: un aggiornamento della ricetta che fu di Delaney&Bonnie in
Rise Up Singing e
Heartache on the Line e un orgoglioso rock'n'roll americano che si sporca
di ritmiche funky in Cave Hill Cemetary e
Pocahontas.
Greene e il bassista Govrik
si dividono buona parte del materiale in fase di scrittura, mentre l'alternanza
di voci tra lo stesso Greene e la Osborne fa oscillare l'album in quel terreno
coltivato a rock confederato e battito stradaiolo, su cui si è costruita anche
la prima parte della carriera dei Black Crowes (viene in mente soprattutto l'esordio
in episodi quali Turpentine, Tennessee
Mud e nel fangono swamp rock di Dry County).
La presenza femminile e il profumo soulful dell'interpretazione rimanda soprattutto
alla dimenticata (e isolata) esperienza delle Mother Station di Susan Marshall
(l'incandescente Nothing New), primi anni
novanta di sussulti classic rock ormai quasi scomparsi. La formula dei Trigger
Hippy, pur in tutta la sua inadeguata collocazione temporale, e anche nella riproposizione
di assodati luoghi comuni per il genere, tiene botta con grinta e passione, chiudendo
sulle note di una Adelaide che ha il sapore
country rock di The Band.
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