Robben Ford
Into the Sun
[
Provogue
2015]

www.robbenford.com

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di Silvio Vinci (04/06/2015)

Robben Ford non ha bisogno di presentazioni: è stato e rimane uno dei più bravi e innovativi chitarristi che la scena rock blues abbia mai avuto. Il suo stile, sviluppatosi in un periodo ultra trentennale che l'ha visto suonare nella band di famiglia (Charles Ford Blues Band), nei dischi di George Harrison, Jimmy Whiterspoon, poi fondatore degli Yellowjackets e sopratutto chitarrista nel periodo "fashion" di Miles Davis, collaborazione che l'ha consacrato definitivamente, ha determinato una così forte caratterizzazione dello stile chitarristico (solo per lui la Fender costruisce chitarre, la "Robben Ford Signature", così come gli amplificatori "Dumble", per esempio), in ambito blues, jazz e rock, che per vederne uno simile posso solo riferirmi a Dereck Trucks, anch'egli innovativo (slide guitar) tra i chitarristi dell'ultimo decennio. Ho amato tutti i dischi di Robben Ford e tuttora non manca di essere presente nelle mie personali playlist. Qualche anno fa ho avuto anche la fortuna di vederlo dal vivo a Sassari, in una piazzetta cittadina con una band a supporto favolosa, in uno dei concerti più emozionanti della mia vita.

Detto questo, dopo aver consumato e goduto con il precedente, ottimo "A Day In Nashville" del 2014, oggi mi trovo per le mani questa sua ultima fatica discografica, che segna forse un momento di crisi, d'ispirazione diciamo così, perchè tecnicamente è sempre lui, Robben Ford, e solo questo vale come manuale d'uso per musicisti presenti e futuri, però il livello compositivo, e lo dico con le dovute umiltà e rispetto, è leggermente inferiore agli ultimi tre o quattro dischi. Anche le felici collaborazioni, specie al canto, con gente del calibro di Keb' Mo e ZZ Ward non danno quel tocco magico che spesso gli special guests apportano. Into The Sun viaggia comunque su livelli medio alti grazie al suono meraviglioso che solo le mani di un esperto musicista, che conosce la materia che sta per plasmare, producono. Lo stile è assolutamente riconoscibile già dal primo brano, Rose Of Sharon, e poi confermato nelle altre grandi canzoni che sono Howlin At The Moon e Cause Of War, a mio giudizio le più Fordiane e classicamente vicine ai suoi standard.

Qualche concessione easy listening con Day Of planets e Rainbow Cover, pensate più per le radio americane che per i fans puristi del suo blues anarchico e innovativo e poi le collaborazioni con i vari ospiti, per esempio il citato Keb' Mo e Robert Randolph (tastiere) in Justified, bello shuffle, con la sua mano che ricama, con solita classe, una ritmica abbastanza sfruttata, o ancora Warren Hayes in High heels and Throwing Things, brano che in virtù della seconda chitarra presente, avrebbe potuto esplodere con maggior fragore. So Long For You vede la partecipazione di Sonny Landreth in un esercizio stilistico che, seppure di alto livello, non rimarrà nella storia. In chiusura due brani, Same Train, episodio che mi è piaciuto davvero, e Stone Cold Heaven con Tyler Bryant, giovanissimo chitarrista texano, a lezione dal maestro.

Gli appassionati seguaci del maestro Robben Ford ameranno sempre qualsiasi cosa esca dalla sua penna, e fra questi mi ci metto anche io, però anche i fuoriclasse sbagliano i rigori. Rimane nella cronaca una partita giocata sempre bene.


    


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