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to the country di
Marco Restelli (02/11/2015)
Non
posso negarlo: ho sempre amato gli Eagles, e se oggi sono un appassionato di musica
country, è soprattutto "colpa" dei loro primi album. Avendoli scoperti solo alla
fine degli anni '80 e poiché, all'epoca, la band era ormai sostanzialmente sciolta,
per approfondire al massimo la loro storia mi misi alla ricerca anche dei dischi
solisti dei singoli membri. E così, acquistai - fra gli altri - i primi LP di
Don Henley (i migliori: I Can't Stand Still e The End of the Innocence),
considerabile oggettivamente come il leader carismatico. Dopo quel periodo, la
voce di Hotel California, Desperado e Best of my Love ne pubblicò solo un altro
(Inside Job del 2000) senza mai riproporre la musica delle origini, coerentemente
col fatto che, più degli altri, aveva spinto il gruppo a virare verso suoni decisamente
più rock. Oggi, a 15 anni di distanza, Henley coadiuvato dal produttore Stan Lynch
(ex Heartbreakers di Tom Petty), non aveva evidentemente più voglia di ritardare
la pubblicazione di questo Cass County, preannunciato al mondo intero
da almeno due lustri senza, tuttavia, avere mai modo di realizzarlo.
Per
farlo si è contornato, anche nella fase di selezione dei brani da inserire, di
una serie interminabile di nomi del country contemporaneo (Tift Merritt - che
gli ha "regalato" la sua bellissima Bramble Rose, Alison Krauss,
Martina McBride, e la sua musa ispiratrice di sempre Trisha Yearwood), ma anche
di qualche star navigata (il mito Dolly Parton e, addirittura, un certo Mike
Jagger). Il risultato finale, paradossalmente, sembra proprio quello voluto,
vale a dire presentare un disco impeccabile, tirato a lucido, perfetto tecnicamente;
peccato che in molti episodi sembri mancare, a mio avviso, proprio dell'unica
cosa che ogni canzone dovrebbe avere: l'anima. Per carità, il "giovanotto" non
fa fiasco su tutta la linea e riesce ad emozionare chi lo ha atteso per così tanto
tempo, anche perché la sua voce calda è rimasta la solita di sempre. Al riguardo,
fra i brani in grado quantomeno di evocare i fasti del suo glorioso passato e
che ritengo meglio riusciti, cito la malinconica ballata acustica Waiting
Tables (scritta insieme , tra gli altri, alla voce di I Can't Tell
You Why Timothy B. Shmidt), la cui protagonista è una cameriera di una città decadente
e ormai stanca della vita faticosa dalla quale cerca con tutta sé stessa di affrancarsi.
Un uomo si affaccerà nella sua vita dandole la speranza di farcela, ma purtroppo
resterà delusa di nuovo.
Piacevoli anche The Brand New Tennesse,
e She Sangs Hymnes Out of Tune (banjo di Emily
Robinson e violino sognante di Martie Maguire) per l'approccio retrò che le contraddistingue,
ma soprattutto Praying for Rain, mid-tempo
nella quale Don Henley ci parla del riscaldamento climatico globale partendo dal
punto di vista di un povero agricoltore, che si vede costretto a invocare Dio
per combattere contro una siccità mai vista. Gran del pezzo. L'edizione deluxe
del disco si conclude con la melodia di Train in the Distance (luccicante
dobro di Rob Ickes) ed il sempre apprezzabile piglio rock di Where I Am Now
che, tuttavia, non spostano più di tanto il giudizio complessivo sull'album, già
anticipato qualche riga più su. Se questo deve rappresentare il testamento artistico
di un pezzo da novanta della musica americana, mi auguro vivamente che non resti
l'ultimo.