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lady soul di
Fabio Cerbone (09/02/2015)
Il concetto alla base di ogni nuovo parto discografico di Bettye Lavette
è in fondo molto semplice: essendo prima di tutto una straodinaria interprete,
come la migliore tradizione soul insegna, capace di piegare qualsiasi brano alla
sua sensibilità vocale, la strada da seguire è quella di una accurata scelta dei
brani, di un canovaccio che li possa unire in un'operazione coerente dal punto
di vista musicale e produttivo. Sarà dunque per tale motivo che qualcosa non era
girata nel verso giusto nei due precedenti lavori, un po' appannati (in particolare
Interpretations: The British Rock Songbook, in buona parte a causa della distanza
del repertorio) o forse soltanto adagiati su una formula che iniziava a mostrare
la corda. A prima vista Worthy non stravolge davvero nulla di questo
percorso, eppure il ritorno in cabina di regia di Joe Henry (e c'è anche
l'inseparabile figlio Levon ai fiati) garantisce quella parsimonia di suoni di
cui Bettye Lavette necessita come il pane quotidiano.
Nell'atmosfera più
languida e bluesy, nelle ambientazioni pastose che può offrire la produzione di
Henry e naturalmente grazie all'accolita dei suoi storici collaboratori (Jay Bellerose
ai tamburi e Patrick Warren alle tastiere, ai quali si affiancano il basso di
Chris Bruce e le chitarre di Doyle Bramhall II), Worthy si svela come il disco
che mette a nudo l'anima di una delle ultime regine del soul in circolazione,
risultando in alcuni passaggi persino fragile e spezzata. La voce si muove infatti
da urla strozzate a momenti di pura esplosione black, cercando di farsi largo
a morsi verso la luce (leggetene la trama in Where a
Life Goes, brano di Randall Bramblett, o nella più classica ballad
soul Step Away) e in questo mostrando anche tutte le sue debolezze, nonchè
il tempo che passa inesorabile. Di sicuro queste sessioni giocano buona parte
del loro fascino sulle dinamiche tra vuoti e pieni, tra una Unbelievable
(Bob Dylan) che è un magma di groove notturni e piccole esplosioni tra piano e
chitarre gracchianti, degne del lupo mannaro Tom Waits, e gli struggimenti soul
blues di una magnifica Just Between You and Me and the
Wall, You're a Fool (dal songbook degli Amazing Rhythm Aces), luogo
nel quale la coppia Bramhall II - Warren si rimpalla un dialogo continuo tra piano
elettrico e chitarra solista.
Nel mezzo si allineano tutte le gradazioni
di Worthy, un disco che non suonerà funky, sporco e ruvido come I've
Got My Own Hell to Raise, né sudista e rock quanto il capolavoro The
Scene of the Crime, ma prende le migliori caratteristiche di entrambi
e rinnova la magia della Bettye Lavette interprete. È lei infatti a stravolgere
gli originali, a imprimergli la sua impronta, consigliata o meglio forse imbeccata
dal suo direttore d'orchestra Joe Henry: quest'ultimo si sceglie legittimamente
il brano da portare in dono e il risultato è uno splendore (Stop,
che già brillava di suo in "Scar"), ma non esita a includere Rolling
Stones (una Complicated che conserva l'anima
garage nei rimpalli fra organo e chitarra ritmica) e Beatles (Wait,
la più interessante per metamorfosi, rallentata e rarefatta). Per completare il
quadro basta poi il lavorio dei musicisti, con un ispirato e al tempo stesso contenuto
Doyle Bramhall II che rifà il verso ad Albert King in When I Was a Young Girl.
Un'altra lezione di classe e sentimento signora Bettye!