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rock blues disciples di
Matteo Fratti (03/08/2018)
Rientrano
in un impeto modaiolo già percettibile all'avvio della loro comune carriera musicale,
TheRecord Company, che non sono passati inosservati al loro debutto
di Give
It Back To You come power trio sulla scia di quel suono che fu interessante
novità allorché gente come Jon Spencer Blues Explosion, Black Keys o White Stripes
lo forgiarono non proprio dal nulla (ma nell'incrollabile fiducia retro-maniacale
che al sovraccarico di superfluo dell'era 2.0 fosse giunto il momento di togliere
anziché aggiungere - con un "non niente" di spirito punk..). Sono risultati quelli
forse non proprio innovativi all'imbocco della stessa direzione ormai già a qualche
decennio di distanza, da quando la riproposta di certe sonorità prese a piene
mani da matrici blues di elettrificazione del suono del Delta risultò qualcosa
di nuovo e Jon Spencer tentava sperimentalmente di unire gli intenti assieme al
ritorno di un vecchio bluesman come R.L. Burnside, intuizione che forse allora
già mancava da tempo sul mercato.
Certa produzione da quel momento si
è spinta sempre più a sporcare i suoni, bassa fedeltà a volte più genuina, a volte
creata ad arte per un business che mai si disdegna, fino ad arrivare ad essere
un marchio di fabbrica, probabilmente un po' inflazionato. Succede quindi quell'effetto
che giunge talora a farci giudicare un po' di maniera certo blues urbano o più
genericamente rock-blues di derivazione chicago-blues-style che dir si voglia,
quasi che all'indomani di un successo commerciale come quello del british blues
si fosse cominciato a ricreare uno stereotipo di quel sound, perdendone progressivamente
la vera identità. Al che il primo approccio a questo All of This Life,
visti i precedenti effetti collaterali, è che possa suonare derivativo di certo
garage blues o rock'n'roll sound di tal fatta. Poi, come spesso succede col chicago-blues
e con molti dei prodotti che oggi non inventano più nulla di nuovo, si strizza
l'occhio quando sono suonati bene, e l'identità in cui si collocano viene sinceramente
assimilata senza risultare fittizia o pedissequamente riprodotta, sicché la razionalità
si fa da parte e a muoversi, un'altra volta, sono le emozioni.
Quindi
alla fine e senza tanti fronzoli, è quello che deve fare la musica, e bando a
certe elucubrazioni da critica musicale che, ahimè, però, ci vengono richieste
quando si voglia "parlare di musica": senza farla lunga, a proposito, nulla si
fa più estrema sintesi di quello che la frase stoniana per eccellenza racchiude
in merito, e cioè che "it's only rock'n'roll, but I like It"! Perciò, godiamocela
per quel che è, questa band della west coast, e senza essere approssimativi nel
parlarne, accade proprio che pur ritrovando innumerevoli nomi storici che emergono
dal loro lavoro e forse anche dai loro ascolti, non si può affermare che non arrivino
al dunque, collocabili nel filone di cui sopra ma sinceri, e con una chiara posizione:
Life To Fix, o il falsetto di Goodbye
To The Hard Life parlano da sole, fino a farci sottolineare il duro riffeggiare
di Make It Happen o di Coming Home,
evocando persino i Black Crowes su cose come You And
Me Now o The Movie Song. Ma a noi piace di più quando I'm
Getting Better con quell'armonica sopra le righe, richiama gli Yardbirds,
e davvero in Chris Vos come Keith Relf sembra palesarsi, sotterraneo e
nostalgico, quel sogno di dove volevamo essere e non siamo stati.