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american folksinger di
Fabio Cerbone (25/07/2018)
Un
volto sereno, la barba che comincia a imbiancare per i suoi quarant'anni ormai
passati, Jeffrey Foucault è ritratto dal finestrino di quel furgone con
cui ha affrontato mille miglia di concerti, in solitaria o con la band. Nascono
infatti on the road, come vuole buona parte della mitologia di questa musica,
le nuove canzoni di Blood Brothers, dopo un breve tour nel familiare
Midwest e l'ultima birra con i musicisti prima del rompete le righe. Appunti di
viaggio, piccole rivelazioni, raccolte in un album dal carattere gentile, accorato,
che in qualche modo rappresenta l'altra faccia del folksinger originario del Wisconsin,
dopo un più elettrico e bluesato Salt
As Wolves.
Altrettanto ispirato però, a conferma di un periodo
fertile a livello compositivo, Blood Brothers è la rappresentazione perfetta di
quella scuola di troubadour americani che esprimono un contegno letterario nei
loro versi. Foucault ne simboleggia in qualche modo l'ennesima generazione, cresciuto
imparando le canzoni di John Prine (a cui ha dedicato anche un sentito disco tributo
qualche anno fa) con la prima chitarra donatagli dal padre, carpendo poi i segreti
dell'arte di Townes Van Zandt, di Guy Clark e di qualche altro gigante poco riconosciuto,
per esempio Greg Brown, il cui stile echeggia eternamente nei lavodi di Jeffrey,
non fosse altro per la presenza alle chitarre di Bo Ramsey, storico partner
artistico del citato Brown. Lavoro di artigianato roots e folk, accenti bluesy
ed elettricità contenuta, parole che pesano ogni respiro e ogni pausa, Blood Brothers
completa un percorso che ha visto i picchi di Ghost Repeater (a tutt'oggi il disco
più bello della collezione di Foucault), le collaborazioni intense con la poetessa
Lisa Olstein nel progetto Cold Satellite, non ultime anche le produzioni per gli
amici (e anime gemelle) Mark Erelli e Hayward Williams.
Tutti outsider
destinati, come Jeffrey Foucault, il quale conferma la sua indipendenza, con album
prodotti e distribuiti a fatica, una nicchia che però gli sta portando fortuna,
con un interesse crescente e lo stesso Blood Brothers che conquista attenzioni
mai raggiunte in carriera, di pubblico e critica, a poche settimane dalla sua
uscita ufficiale. Merito da condividere con l'anima di queste ballate, riflessioni
e memorie sulla natura dell'amore, la sua perdita e riconquista nonostante le
distanze umane, partendo dai dettagli della quotidianità, come svelano Disches,
la stessa title track, Little Warble e I
Know You, persino l'episdio sottilmente più "politico" del disco, War
on the Radio, segnato dalla pedal steel di Eric Heywood. Sono brani
avviluppati in un sound accogliente, un country folk agrodolce e denso di semplici
finezze, a cui partecipano attivamente il leggero tratto ritmico dell'inseparabile
Bill Conway (ex Morphine), le chitarre del citato Ramsey, il basso Jeremy
Moses Curt, musicisti per sottrazione, che operano su pause e spazi, lasciando
fluire le scenografie sparse di Blown, i tenui sussulti di Rio e Dying
Just a Little, fino ad asciugare ogni cosa nelle fattezze acustiche e intime
di Cheap Suit e Pretty Hands.
Il
timbro caldo e confidenziale di Foucault riesce così ad amplificare la profondità
delle parole, mentre uno stuolo di voci femminili, dalla compagna Kris Delmhorst
alle ospiti Tift Merritt e Pieta Brown, lo tiene per mano in questa lezione di
cantautorato.