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Under: folk rock
di Fabio Cerbone (24/08/2019)
La sua lettera d’amore per
Los Angeles, così definisce Russ Tolman il nuovo album, è spedita
per metà dal Giappone, dove il musicista californiano si è rifugiato di
recente, e per metà dalla stessa California, dove risiedono buona parte
degli amici che hanno collaborato alla stesura delle canzoni. Il senso
della distanza dovrebbe acuire la nostalgia, ma anche fornire il distacco
necessario per una visione più limpida dell’oggetto, e così Tolman prova
a ripercorere spezzoni di vita vissuta, brandelli di emozioni e ricordi
di quel “El Dorado” che ha lasciato dietro di sé, forse con qualche rimpianto,
chissà. La carriera dell’autore e chitarrista è stata a dir poco ondivaga
e votata all’oscurità: in principio il successo mancato con i True West,
frutto maturo del Paisley Underground che non colse l’attimo buono per
diventare un nome di punta dell’alternative rock dell’epoca, quindi un
viaggio solista tra alti e bassi, numerose etichette indipendenti, e ripari
in Europa, che diverrà la sua seconda casa, come per tanti colleghi.
Goodbye El Dorado spezza un silenzio lungo quasi due decenni,
seppure mai interrotto del tutto grazie all’attività dal vivo e a qualche
singolo in rete, a tanto risale New Quadrophonic Highway, dispaccio
discografico che inaugurò la sua permanenza europea in casa Blue Rose.
La copertina promette miraggi desertici, solleticando le memorie delle
tinte neo-psichedeliche che furono dei citati True West, ma i colori pastello,
languidi e serafici, di Los Angeles e
Kid hanno semmai il cuore che batte per il folk rock, per certa
roots music da confine texano (giocano a favore anche il mandolino e l’accordion
di Robert Lloyd). In North Hollywood Dream entra in scena un tono
da crooner Americana che ricorda l’amico Steve Wynn quando si è dedicato
alla ballata dalla forma malinconica e bluastra, mentre 405
ciondola placidamente sulle strade del folk rock californiano più solare,
complici le voci di Cindy Wasserman e Dan Janisch.
Il suono è indorato da orizzonti country (nella title track), con le chitarre
della vecchia conoscenza Kirk Swan (qualcuno ricorda i Dumptruck?) a ricamare
senza ferire, il basso di Dave Provost (Dream Syndicate) e qualche addobbo
della steel di Tom Heyman (Go to Blazes, Dan Stuart) e della tromba di
Slim Zwerling (anche piano e flicorno). La capacità di evocare luoghi,
polvere e paesaggi da Laurel Canyon e Joshua Tree è fuori discussione,
nonostante l’impressione sia di una cartolina un po’ troppo stereotipata,
un’agiografia prevedibile nella quale Tolman potrebbe essere un novello
Dave Alvin alla prese con il suo King of California, ma non ne possiede
la forza e lo spessore di autore. Nella parte centrale un po’ di eccentricità
negli arrangiamenti di Yuba City e California Winter pare
evocare persino lo stile di Stan Ridgway, quanto meno quello maturo degli
ultimi anni, mentre il finale di Take It Easy
Take It Slow e delle tre tracce aggiunte (solo nell’edizione
in cd) Pacific Rain, Satelite Bar e Time Flies, riporta
tutti sui sentieri dei Byrds, del country rock e dell’eldorado da West
Coast. Un piacere ritrovare Tolman tra i compagni perduti di quella fucina
di talenti che fu il movimento Paisley, sebbene queste canzoni non incidano
molto nei nostri cuori.
* La prima edizione in cd di Goodbye El Dorado contiene un secondo
disco, Compass & Map, che riassume in venti tracce la produzione
da solista di Tolman, dall’esordio Totem Poles and Glory Holes
del 1986 al citato New Quadrophonic Highway del 2000.