Ray Wylie Hubbard
Co-Starring

[Big Machine 2020]

raywylie.com

File Under: texan growlin' country rock

di Fabio Cerbone (27/07/2020)

La pellaccia dura di Ray Wylie Hubbard è in circolazione, discograficamente parlando, dalla metà dei Settanta, da quando la sua Up Against the Wall Redneck Mother finì nelle mani di Jerry Jeff Walker, che la rese un piccolo classico del cosiddetto country outlaw e contribuì a costruire la leggenda di Hubbard. Icona rispettata da colleghi più e meno giovani, con una produzione di nicchia che si è intensificata negli ultimi anni, raccogliendo i frutti di uno sporco e costante lavoro nelle retrovie, Ray ha colto l’occasione di una vita intera, ora che si avvicina alle settantacinque primavere, firmando un contratto con la Big Machine di Nashville (distribuzione Universal). Co-Starring è l’esito di questa sorta di rilancio, dieci brani costruiti seguendo il più classico dei canovacci: un ospite per ogni singola traccia, alternando grandi nomi del circuito rock e giovani stelle dell’Americana, sostenendo il titolare e le sue canzoni quel tanto che basta per non offuscarne la figura e al tempo stesso dando un contributo di maggiore visibilità pubblica.

Speriamo sinceramente che l’operazione riesca, perché dopo tanto peregrinare Hubbard se lo meriterebbe, anche soltanto per tutto ciò che ha scritto e cantato in passato. Di sicuro la sua tenacia non si lascia scalfire nemmeno questa volta dalle lusinghe: la musica esprime sempre quel passo, immutabile, un country blues dalle luciferine connotazioni swamp sudiste e intensamente elettriche, una specie di Tony Joe White catapultato dalle paludi della Lousiana nella polvere del deserto fra Texas e New Mexico. Se l’effetto questa volta sembra un po’ meno monolitico e inchiodato al palo come nei più recenti album di Ray, è perché la varietà degli umori e dei contributi degli ospiti riesce a volte a rendere meno tignoso e corrosivo il contenuto musicale. Il quale parte con la parata di guest stars in Bad Trick, riflessione ironica sulla stessa vicenda musicale di Hubbard: la batteria di Ringo Starr (che aveva già collaborato con il protagonista in passato), il contrabasso di Don Was, la slide di Joe Walsh e il controcanto di Chris Robinson, per un brano che rappresenta l’essenza swamp rock recalcitrante del nostro.

In Rock Gods entra in gioco il chitarrista e songwriter Aaron Lee Tasjan, per un’epica elettrica che omaggia la scomparsa di Tom Petty, mentre le chitarre sudiste e assassine dei Cadillac Three rendono bollente l’aria da racconto leggendario di Fast Left Hand. Il meditare acustico dell’ottima Mississippi John Hurt, in duetto con Pam Tillis, interrompe la vampa elettrica ed esalta il timbro vocale rauco, limitato ma affascinante, di Hubbard, nelle vesti di autentico troubadour texano. Da qui in poi, alternando frustate rock e ricami roots, Co-Starring assume il ruolo di un disco più equilibrato e in qualche modo riassuntivo del vagabondare stesso di Ray: la spassosa commedia country rock di Drink Till I See Double, la programmatica R.O.C.K. (con le chitarre da piromani di Tyler Bryant & The Shakedown), la novella fuorilegge al femminile di Outlaw Blood (in coppia con Ashley McBryde, tra gli episodi migliori con il suo passo country blues rurale) e la gemella in chiave juke joint di Rattlesnake Shakin’ Woman (voci e slide guitar per concessione delle Larkin Poe), fino al contegno roots di Hummingbird (con il maestro Peter Rowan) e The Messenger nel finale, a fornire un’immagine più adatta alle origini da folksinger.

La questione non è se Co-Starring sia un album più o meno ispirato di quelli che lo hanno preceduto, tutti aggrappati a un’idea precisa, granitica di american music: semplicemente, quando uno se li è guadagnati, è giusto che si prenda tutti gli onori, magari persino con gli interessi.


    


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