The Jayhawks
XOXO

[Sham/ Goodfellas 2020]

jayhawksofficial.com

File Under: roots'n'pop

di Fabio Cerbone (10/07/2020)

La longevità è una questione controversa nel business musicale: si sono espressi a favore o contro dagli Stones (il tempo è sempre dalla loro parte, a qualsiasi età) fino a Neil Young (meglio bruciare in fretta?). I Jayhawks non hanno gli stessi problemi (e lo stesso conto in banca), per cui possono veleggiare tranquillamente oltre i trent’anni di carriera senza dare nell’occhio. Tanto è passato dai loro esordi indipendenti sulla scena di Minneapolis, portando con dignità il peso artistico dei veterani, di fatto una delle ultime grandi band ancora in circolazione tra quelle sbucate dalla nidiata alternative country. Il segreto è stato aprirsi all'enciclopedia dei suoni americani e scompaginare le carte (anche della formazione, che ormai agli storici Gary Louris e Mark Perlman ha aggiunto da diverso tempo Tim O’Reagan e Karen Grotberg), mai rinchiudendosi nel recinto di un genere specifico, come fossero venerati maestri dell’Americana, ma provando sempre a unire tradizione e melodia, luminescenze pop e chitarre rootsy, come avviene da copione anche in XOXO (baci e abbracci, nel linguaggio abbreviato).

Il quale resta un disco più democratico e con quel tanto di mestiere rispetto alla media dei loro recenti sforzi, senza le ambizioni di Paging Mr. Proust (decisamente da rivalutare) e neppure la curiosità di Back Roads and Abandoned Motels (“scarti” e collaborazioni rimasti nel cassetto). La differenza la fa il songwriting, che accentua il desiderio di una maggiore coralità: tradotto significa che Louris molla un poco la presa e coinvolge attivamente gli altri tre membri, ognuno impegnato a dare il suo apporto compositivo. L’altalena delle emozioni ne risente e dall’annuncio cristallino di This Forgotten Town, ossia i Jayhawks che salgono in cattedra con l’agrodolce folk rock di cui sono maestri, si prosegue zigzagando per power pop (l’attacco Big Star del riff di Dogtown Days), walzer acustici (Down to the Farm), romanticherie e ibridi country pop (Ruby e Across My Field) e armonie beatlesiane (sparse un po’ dappertutto), che ribadiscono la competenza e la classe del gruppo, ma non sembrano aggiungere veri e propri gioielli alla teca preziosa della band.

Inciso ai Pachyderm Studios nella loro Minneapolis, vivendo e lavorando a stretto contatto per un paio di settimane, XOXO mescola voci e autori, ognuno mettendo il becco nelle canzoni degli altri, come si trattasse di una formula comunitaria: Louris se ne dichiara entusiasta, tanto da rimproverarsi di non averci pensato prima, mentre Karen Grotberg annuncia convinta una “nuova era” per i Jayhakws da qui in avanti. Più prosaicamente potremmo affermare che le qualità di scrittura del gruppo ne conferma l’eleganza e quell’espressività di chi sa come arrangiare una canzone, anche se ti ritrovi davvero con un tuffo al cuore soltanto quando, guarda caso, Louris prende il timone: negli effluvi pop rock di Homecoming, nel piano saltellante di una Living in a Bubble che sarebbe piaciuta a Harry Nilsson, o ancora nella tenerissima, cosmica melodia di Bitter Pills, con i Big Star in gita fra le colline dell’Americana.

È bene ribadirlo: la democrazia con le rock’n’roll band non ha mai funzionato, al massimo sono accettabili piccoli compromessi.


    


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