Eileen Rose
Muscle Shoals

[Holy Wreckords/ CRS 2020]

eileenrose.com

File Under: down in Alabama

di Fabio Cerbone (19/05/2020)

Letteralmente in orbita dalla felicità – e basterebbe osservala sorridere sulla copertina dell’album, che la ritrae baciata dal sole, davanti agli studi di Muscle Shoals, a Sheffield in Alabama – Eileen Rose sfrutta l’occasione della vita, ovvero sia incidere tra quella storiche mura che hanno visto sbocciare i fiori più appariscenti della southern music. L’entusiasmo, suo e della band che da diversi anni la affianca, The Holy Wreck, non ha lasciato posto alla moderazione, facendo fluire note per la bellezza di diciasette brani. Troppi. Quello che un tempo sarebbe stato un album doppio, è adesso diviso idealmente in due facciate: una per gli inediti e una per alcune tracce del passato recuperate e nuova vita.

Non ha saputo resistere, dice Eileen, immersa in una specie di paese dei balocchi, uno studio-museo dove poter osservare le foto dei Rolling Stones e dell’Allman Brothers Band appese alle pareti e dove usare la strumentazione che ha visto nascere Brown Sugar e Wild Horses o indossare le cuffie che furono anche di Linda Ronstadt. Quest’ultimo particolare deve essere particolarmente caro alla Rose (la quale, peraltro, nella copertina richiama un disco di Cher inciso sempre a Muscle Shoals), autrice abbastanza eclettica che tuttavia da una decina d’anni ha operato una scelta netta nella direzione del country rock e di sonorità più ruspanti. Infatti, se agli esordi, lei originaria di Boston ma trasferitasi per qualche anno in Inghilterra, l’avevamo salutata come affascinante interprete di un folk rock scuro e romantico (l’ottimo Long Shot Novena per Rough Trade), collaborando con Alabama 3 e The Ruts, adesso che ha fatto marcia su Nashville e nel Sud degli States, gli esiti non possono che essere i languori country soul di She’s Gone e Am I Really So Bad, lo sferragliare swamp di He’s So Red, degno dei Creedence (ricorda la hit Run Through the Jungle), l’honky tonk a rotta di collo di On Shady Hill.

Stilisticamente è un bel salto, ma ormai assodato, già a partire dall'album Be Many Gone nel 2014, anche grazie a una voce che dosa fragilità e potenza, e questo pur non avendo le caratteristiche emotive dell’interprete southern soul. La differenza nello scatto finale la danno The Holy Wreck, e in particolare le chitarre (anche pedal steel) di Rich Gilbert (già con i Catholics di Frank Black), un vero e proprio mattatore che passa dal caracollare rock di Get Up e A Little Too Loud ai tratti fra garage, swamp e psichedelia sixties di Walk the Jetty e Trying to Lose You. È lui spesso a tenere in piedi la baracca, mentre Eileen Rose ci mette grinta e passione, anche quando una sforbiciata avrebbe fatto comodo a rendere questo Muscle Shoals un lavoro più fluido e coerente.

Registrato in presa diretta, quasi a preservare i dettami del passato rintracciati in Alabama, con un sound volutamente non rifinito nei dettagli e spesso con una voce sparata in primo piano, il disco rischia a tratti, per la troppa generosità, di far disperdere qualche gemma, tra cui il rifacimento di Good Man, una delle migliori ballate del repertorio della Rose, o il finale con la brillante Sade Ride Home.


    


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