Letteralmente in orbita dalla felicità – e basterebbe
osservala sorridere sulla copertina dell’album, che la ritrae baciata
dal sole, davanti agli studi di Muscle Shoals, a Sheffield in Alabama
– Eileen Rose sfrutta l’occasione della vita, ovvero sia incidere
tra quella storiche mura che hanno visto sbocciare i fiori più appariscenti
della southern music. L’entusiasmo, suo e della band che da diversi anni
la affianca, The Holy Wreck, non ha lasciato posto alla moderazione, facendo
fluire note per la bellezza di diciasette brani. Troppi. Quello che un
tempo sarebbe stato un album doppio, è adesso diviso idealmente in due
facciate: una per gli inediti e una per alcune tracce del passato recuperate
e nuova vita.
Non ha saputo resistere, dice Eileen, immersa in una specie di paese dei
balocchi, uno studio-museo dove poter osservare le foto dei Rolling Stones
e dell’Allman Brothers Band appese alle pareti e dove usare la strumentazione
che ha visto nascere Brown Sugar e Wild Horses o indossare
le cuffie che furono anche di Linda Ronstadt. Quest’ultimo particolare
deve essere particolarmente caro alla Rose (la quale, peraltro, nella
copertina richiama un disco di Cher inciso sempre a Muscle Shoals), autrice
abbastanza eclettica che tuttavia da una decina d’anni ha operato una
scelta netta nella direzione del country rock e di sonorità più ruspanti.
Infatti, se agli esordi, lei originaria di Boston ma trasferitasi per
qualche anno in Inghilterra, l’avevamo salutata come affascinante interprete
di un folk rock scuro e romantico (l’ottimo Long Shot Novena per
Rough Trade), collaborando con Alabama 3 e The Ruts, adesso che ha fatto
marcia su Nashville e nel Sud degli States, gli esiti non possono che
essere i languori country soul di She’s Gone
e Am I Really So Bad, lo sferragliare swamp di He’s
So Red, degno dei Creedence (ricorda la hit Run Through the
Jungle), l’honky tonk a rotta di collo di On Shady Hill.
Stilisticamente è un bel salto, ma ormai assodato, già a partire dall'album
Be Many Gone nel 2014, anche grazie a una voce che dosa fragilità
e potenza, e questo pur non avendo le caratteristiche emotive dell’interprete
southern soul. La differenza nello scatto finale la danno The Holy Wreck,
e in particolare le chitarre (anche pedal steel) di Rich Gilbert
(già con i Catholics di Frank Black), un vero e proprio mattatore che
passa dal caracollare rock di Get Up e A Little Too Loud
ai tratti fra garage, swamp e psichedelia sixties di Walk
the Jetty e Trying to Lose You. È lui spesso a tenere
in piedi la baracca, mentre Eileen Rose ci mette grinta e passione, anche
quando una sforbiciata avrebbe fatto comodo a rendere questo Muscle
Shoals un lavoro più fluido e coerente.
Registrato in presa diretta, quasi a preservare i dettami del passato
rintracciati in Alabama, con un sound volutamente non rifinito nei dettagli
e spesso con una voce sparata in primo piano, il disco rischia a tratti,
per la troppa generosità, di far disperdere qualche gemma, tra cui il
rifacimento di Good Man, una delle
migliori ballate del repertorio della Rose, o il finale con la brillante
Sade Ride Home.