Se Lester Bangs fosse ancora
vivo oggi, chissà se perderebbe ancora tempo a lanciare polemiche a distanza
con l’altra grande firma del giornalismo musicale americano, Greil Marcus.
Se Bangs aveva una visione decisamente progressista del rock, per cui
(semplificando molto) potremmo dire che per lui era buono solo ciò che
era innovativo o scardinava vecchi schemi, Marcus resta il cantore del
rock classico e di una visione, secondo Bangs, anche abbastanza conservatrice.
Pensavo a loro ascoltando il nuovo disco dei Waco Brothers, una
sigla che molti magari non ricordano neanche più, ma che negli anni 90
nell’ambito di quello che ai tempi chiamavamo alternative-country, scardinò
non pochi schemi e fece saltare salde certezze con due album che vi consigliamo
caldamente di recuperare come To the Last Dead Cowboy e Cowboy
in Flames.
Il loro leader, Jon Langford, ha decisamente riscosso più onori con la
sua band primaria, i Mekons, eppure con questo suo side-project, in cui
si diverte a vestire uno Stetson per usare la country music per fini decisamente
personali, resta una epopea ugualmente importante. Pensavo ai due vecchi
critici perché me li immaginavo a sentire assieme questo RESIST!
(in maiuscolo, titolo che da solo dice tutto sul clima da sopravvissuti),
troverebbero modo di discutere se ha senso che un “rivoluzionario” come
Langford si ripeta, semplicemente ribadisca, o semplicemente tiri a campare
facendo quello che sa fare meglio, ma ha già fatto in altri tempi. Insomma,
avete capito cosa vi trovate qui: una band che ha ancora voglia di suonare,
con ampio spazio dato alle schitarrate di Dean Schlabowske e a country-songs
che sembrano suonate dai Clash o dai Social Distortion, e un artista che
continua a portare avanti in parallelo le due sigle di cui è deus ex machina
con estrema dignità, ma senza più la necessità di rompere alcuno schema.
Un disco da 7 per Marcus, da 5 per Bangs probabilmente. Perché oggi, non
nascondiamolo, quando sentiamo un nuovo disco di vecchie glorie siamo
innanzitutto contenti di sapere che sono “ancora in forma” e ancora sanno
dare emozioni (Pete Townshend, che a 20 anni inorridiva all’idea di fare
rock da vecchio, oggi si accontenterebbe anche solo di questo riconoscimento),
ma la speranza di aspettarsi qualcosa che ci sconvolga la vita, secondo
Bangs l’unica che giustificherebbe la pubblicazione di un disco, l’abbiamo
un po’ lasciata al passato. Per questo non fatevi ingannare dalla copertina
rivoluzionaria e battagliera, e dal claim pubblicitario pensato per loro
dalla Bloodshot che urla “Hard Times Call for Hard Country!”, qui la resistenza
in brani come Revolution Blues, la cover di I
Fought The Law o Bad Times Are Coming 'Round Again,
è solo nei testi fortemente politici e polemici, perché musicalmente la
band gioca in difesa, rispolverando un cow-punk vecchio e conservatore,
che però resta il pulpito migliore da cui declamare questi testi disillusi
e feroci.
E anche quelli però, sembrano ormai scritti col piglio del vecchio che
borbotta sconsolato il suo “ai miei tempi le cose erano diverse…”, ma
che il rock possa essere anche materia per vecchi saggi è ormai stato
ampiamente dimostrato, anche se Lester Bangs, morto nel 1982, non lo saprà
mai.