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Rhiannon Giddens (with Francesco Turrisi)
They're Calling Me Home
[Nonesuch 2021]

Sulla rete: rhiannongiddens.com

File Under: folk traditions


di Fabio Cerbone (26/04/2021)

“Home is where the heart is” recita il detto, eppure non si cancella quel desiderio costante prodotto dalla distanza dalle proprie origini, anche quando si è scelto consapevolmente di vivere in un’altra parte del mondo... A maggior ragione per i musicisti, di natura spiriti un po’ erranti su questa terra, votati alla contaminazione e all’incontro con altre culture. They’re Calling Me Home racconta un isolamento e un’attrazione verso ciò che chiamiamo casa, nati in un periodo di forzata reclusione, quella che tutti abbiamo imparato a conoscere in questo ultimo anno e mezzo. Rhiannon Giddens e Francesco Turrisi, due “espatriati” accolti dalla nuova patria d’Irlanda, cercano l’America e l’Italia che non possono raggiungere attraverso il ricordo del gesto musicale, scavando in un repertorio di tradizionali e vecchie folk song scelte accuratamente per celebrare questi sentimenti.

Sorta di prosecuzione del lavoro austero e profondo di rivitazione dell’old time music avviato con il precedente There Is No Other, il nuovo album della coppia artistica sposta solo apparentemente l’attenzione dal tema dell’incontro con l’altro e della migrazione verso una ricerca di familiarità domestica, che è in verità l’altra faccia della medaglia. Tutti sogniamo il riparo e il conforto di una casa: They’re Calling Me Home, inciso dal duo (e con rari interventi esterni) in un piccolo studio nella campagna fuori Dublino, ne invoca il rimpianto con una ipnotizzante colonna sonora che intreccia folk americano (il richiamo della regione degli Appalachi in Waterbound) e inglese (When I Was in My Prime, già nel repertorio dei Pentangle e nella voce di Jacqui McShee), antichi madrigali italiani (la spiazzante melodia barocca di Si Dolce è’l Tormento di Claudio Monteverdi, che ci ricorda l’educazione alla tradizione dell’opera della Giddens), suggestioni irish e mediterranee (l’originale Avalon), vecchie filastrocche dialettali (Nenna Nenna) e brani strumentali (Niwel Goeas to Town, dai tratti fra Mediterraneo e Africa) che ribadiscono l’affascinante chimica musicale venutasi a creare fra la voce di Rhiannon Giddens (anche banjo e viola) e gli interventi eclettici di Turrisi, quest’ultimo diviso fra più strumenti a corda e percussivi.

Il tono del viaggio musicale è dettato dall’apertura di Calling Me Home: Rhiannon Giddens, come una novella Odetta, sulle orme poi di Joan Baez o Barbara Dane, sembra ripercorrere il trasporto sentimentale tipico di certo folk revival, aggiornandolo alla sua sensibilità e al dettato della società contemporanea. La scelta di alcuni classici dell’american music è la conferma di tutto ciò, per fortuna evitando il più possibile un approccio semplicemente accademico: se I Shall Not Be Moved è coerente con l’impegno civile più volte mostrato dalla Giddens in questi anni, a sorprendere davvero è l’interpretazione vocale di Oh Death (che assume un significato straziante alla luce delle tante vittime della pandemia), da mettere letteralmente i brividi, mentre nel finale Amazing Grace è rivisitata con uno spettrale accompagnamento ritmico ed eliminandone il testo, ma giocando soltanto sulla densità del suono della voce.

They’re Calling Me Home
è in tal senso un disco che media fra l’intensità dell’emozione e la cura del suono: non possiede forse la potenza suggestiva del suo predecessore, ma sembra portarne a compimento il significato.


    



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