Una buona idea per uno speciale
per una rivista musicale sarebbe scrivere la storia del rock attraverso
i dischi solisti dei chitarristi normalmente abituati ad essere la spalla
di un artista in particolare. Buona per il valore storico probabilmente,
ma sicuramente non per attirare tanti lettori, visto che questa storia
percorrerebbe inesorabilmente un sentiero fatto di dischi minori, curiosi
nel migliore dei casi, trascurabili nel peggiore. Nessuno metterebbe in
dubbio l’importanza di un Mick Ronson per la musica di David Bowie, un
po’ meno quella delle sue sortite soliste, e credo che nemmeno Joe Perry
consideri i suoi lavori personali importanti quanto quelli fatti con gli
Aerosmith, per arrivare magari a citare Keith Richards, che spesso ha
ribadito che i suoi dischi solisti (che sono comunque tra i migliori di
questo sottogenere) servivano solo a tenerlo occupato mentre Jagger aveva
altro da fare.
La storia per Mike Campbell è un po’ diversa, visto che purtroppo
non ha più un Tom Petty da aspettare, uno che davvero non poteva fare
a meno di lui tanto da chiamarlo a suonare e produrre anche i dischi non
attributi agli Heartbreakers come Wildflowers, Full Moon Fever
o Highway Companion. Mike ora fa vita da session-man puro,
ma dal 2019 ha dato vita anche una band, i Dirty Knobs, con i quali ha
esordito nel 2020 con l’album Wreckless
Abandon. È significativo che il loro secondo sforzo cambi la
sigla in Mike Campbell and The Dirty Knobs, segno che forse non tutti
i fans di Petty si sono accorti che dietro i Dirty Knobs si celava il
loro vecchio guitar-hero. Questioni solo di intestazione, perché poi External
Combustion cambia davvero poco le carte in tavola, a partire dai
partners che restano gli ex Five Easy Pieces Jason Sinay (chitarra) e
Matt Laug (batteria), session man visti anche alle spalle di grandi nomi
come Alanis Morrissette e Neil Diamond, e il bassista Lance Morrison,
già chiamato in causa anche da Don Henley.
Al secondo giro Campbell chiama anche qualche amico, il vecchio leone
Ian Hunter che porta adrenalina in Dirty Job, la bella voce
di Margo Price che impreziosisce la ballad State of Mind e qualche
intervento del vecchio amico “spezzacuori” Benmont Tench. Le novità sono
queste, perché per il resto Campbell ha una sua filosofia di rock americano
buono sia per una garage-band (Lightning Boogie), sia per una american-band
da grandi arene (Cheap Talk) che qui trova buona rappresentazione
soprattutto nei brani iniziali del disco come la “petttianissima” Wicked
Mind o Brigitte Bardot. Resta però quel gusto amaro
di un qualsiasi disco di un chitarrista in libera uscita dalla strada
principale, e cioè che troppo spesso si sente più la mancanza di un vero
cantante (e magari anche di un grande autore, anche se la finale Electric
Gypsy regala qualche soddisfazione in quel senso), piuttosto
che la presenza del suo immortale e sempre perfettamente dosato tocco
chitarristico.