Condividi
 
 

Midlake
For the Sake of Bethel Woods
[Bella Union 2022]

Sulla rete: midlakeband.com

File Under: Let the Sunshine in


di Yuri Susanna (30/03/2022)

Ci fu un breve momento, a cavallo tra i due decenni scorsi, in cui i Midlake poterono sembrare (e di fatto sono sembrati, a più d’uno di noi) una facile scommessa sul futuro dell’indie americano, oltre che rappresentare un presente intrigante. Intelligenti senza apparire spocchiosi o cerebrali, rispettosi del passato senza cadere preda della tentazione di una deriva citazionista postmoderna o, all’opposto, del facile revivalismo, hanno infilato una doppietta di album (The Trials of Van Occupanther e The Courage of Others) che, in modo diverso e complementare, annunciavano l’esistenza di una dimensione spaziotemporale in cui Fleetwood Mac e Fleet Foxes, Okkervil River e Fairport Convention riuscivano felicemente a coesistere. L’abbandono improvviso e improvvido del cantante Tim Smith (de facto il frontman della band) aveva, proprio sul più bello, lasciato il resto della ciurma e leccarsi le ferite e a interrogarsi sul futuro. La risposta è arrivata con un disco, Antiphon, che cercava di prendere tempo alzando il volume delle chitarre e lasciandosi dirottare da qualche seduzione prog di troppo.

Il classico lavoro di transizione, insomma. Se non fosse che, dopo nove anni, ben pochi ormai potevano immaginare che quella transizione portasse ancora da qualche parte. Invece, il quinto album dei Midlake è realtà: pubblicato sulla coda di questo inverno, è la testimonianza di una volontà di sopravvivenza inaspettata e benemerita. Come i Blues Brothers, i Midlake hanno “visto la luce”: il flautista/tastierista Jesse Chandler racconta di come il padre recentemente scomparso gli sia apparso in sogno per esortarlo a “rimettere insieme la band”. Un aneddoto che trova riflesso nella copertina del disco, dove appare un fotogramma dal celebre docufilm sul festival di Woodstock che raffigura proprio il padre di Chandler da ragazzo, immortalato tra il pubblico della “tre giorni di pace amore e musica”. Allo spirito di Bethel Woods, dunque (il luogo cioè dove sorge il memoriale del festival), è consacrato il ritorno dei Midlake. Non aspettatevi una nostalgia d’accatto, però. La band di Denton, Texas ha l’intelligenza di servirsi della suggestione non per celebrare alcunché ma per interrogarsi su quanto sia difficile far sopravvivere quell’idea di comunità, di fratellanza, nel presente.

Nel brano d’apertura, Commune, Eric Pulido (colui che ha sostituito alla voce il transfuga Smith) confessa di “essere stato via troppo a lungo, solo e perduto senza una comunità”, e nel brano finale, Of Desire, arriva alla conclusione che “ci stiamo lavorando, ma il tempo può davvero giocarci qualche brutto tiro”. E’ chiaro il filo rosso che lega le canzoni attorno a questo realismo nutrito di speranza, ma il concept di per sé non funzionerebbe se le canzoni non fossero all’altezza, e per fortuna lo sono. Le suggestioni seventies ritrovano una dimensione organica, un piglio diretto (il folk rock muscolare di Bethel Woods, il garage rock travestito di psichedelica di Exile, la bucolicità sospesa di Feast of Carrion, il classicismo beatlesiano di The End…) che assorbe senza sforzo quel quid di eccentricità che ha distinto le canzoni migliori della band anche in passato (la poliritmia quasi new wave di Glistening, lo space-rock alla moviola di Noble, le collisioni jazz del piano in Gone, le spirali liquide delle tastiere in Meanwhile…). In un certo senso, questa è la vera continuazione di The Courage of Others: il passato diventa punto di partenza per guardare oltre e ritrovare lo spirito di gruppo e il senso d’appartenenza. Prima di ascoltare For the Sake of Bethel Woods ancora non lo sapevamo, ma i Midlake ci erano mancati.


    



<Credits>