Sono un piccolo
tesoro dell’american music i Felice Brothers, anche se in pochi
ormai ne hanno contezza e certamente molti di più saranno indifferenti
al loro destuno, dai tempi in cui la band di New York era annoverata tra
le punte di diamante di quel rinnovamento della tradizione che passava
per le maglie larghe dell’alternative country. Sappiamo come si muovo
certi ingranaggi, anche nel ristretto mondo della musica indipendente
e della critica specializzata: bisogna sempre trovare nuovi orizzonti
e nuove sfide, inseguire il fenomeno di turno, e pazienza per chi dimostra
una maturità inaspettata, ritagliandosi un ruolo di autentico outsider.
È quello che sembra accadere di recente al gruppo di Ian e James Felice,
nella formula consolidata del quartetto con Jesske Hume (basso e seconda
voce femminile) e Will Lawrence (batteria e cori) inaugurata a partire
dal precedente, notevole From
Dreams to Dust. Lo è a maggior ragione alla luce di un album assolutamente
inatteso, e per questo ancora più gradito, come Asylum on the Hill,
pubblicato a sorpresa verso la metà di dicembre e in esclusiva digitale
sulla piattaforma di Bandcamp (non è prevista al momento un’uscita nel
supporto fisico, mentre è annunciato un nuovo Lp per la metà del 2024),
come a ribadire l’istantanea creazione di un pugno di ballate che The
Felice Brothers hanno inciso la scorsa primavera, sotto la guida dell’amico
produttore Nate Wood, in una chiesa di Harlemville, NY convertita in studio
di registrazione.
Se l’intento era quello di catturare un periodo magico per la band, e
di esprimere al meglio le qualità così romantiche e al tempo stesso sghembe
e misteriose della loro musica, allora Asylum on the Hill assolve
perfettamente il compito, ribadendo il momento di ritrovata grazia dei
fratelli Felice e della loro piccola combriccola di sognatori. Definita
dagli stessi protagonisti, sentite un po’ qui, come una “raccolta di
canzoni su automobili magiche, varie deformità del cuore e della mente,
gerani rossi che sono cresciuti mostruosamente grandi e potenti”,
Asylum on the Hill non è nient’altro che l’ennesima, irresistibile
rielaborazione che The Felice Brothers operano sul tema dei Basement
Tapes di memoria dylaniana, cercando di acciuffare almeno in parte
quell’arcano da fascinosa Vecchia America attraverso la dolcezza velata
di Candy Gallows o la commovente coralità di una Abundance
che fila dritta fra le migliori ballate uscite dal campionario della formazione
newyorchese.
Ma è l’intero Asylum on the Hill a conservare un tono accorato
e vivace al tempo stesso, con alcuni episodi che riprendono quota elettrica
(l’ostinato del piano in coppia con una ruvida chitarra e più in generale
il tono percussivo di Strawberry Blonde,
il caracollare trascinante di Green Automobile) rispetto alle ambientazioni
più ombrose e invernali del predecessore. Qui riemergono bislacche e adorabili
filastrocche folk rock come Teeth in the Tabloids e When Susie
Was a Skeleton che potremmo considerare la quintessenza di quello
stile soltanto in apparenza scarmigliato espresso da sempre dai Felice
Brothers, che tuttavia nasconde dettagli melodici e un senso di mite fragilità.
Loro continuano a sbirciare dalla pagine dei canzonieri di The Band e
Tom Waits, e per fortuna diciamo noi, aggiungedovi un po’ della loro sensibilità
folk di montanari della regione delle Catskill Mountains, così che ci
ritroviamo a farci cullare per l’ennesima volta dall’agrodolce malinconia
di Long Dead Street Musician e della stessa Asylum
on the Hill (un gioiello) fino a quando What Will You Do
Now manda tutti a riposo con la neve che imbianca le strade di New
York.