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Colter Wall
Little Songs
[La Honda/ RCA 2023]

Sulla rete: colterwall.com

File Under: lone prairie songs


di Fabio Cerbone (21/07/2023)

Dalle grandi pianure del Saskatchewan dritto al cuore della vecchia America, Colter Wall non molla di un centimetro la presa sulla sua integrità musicale, a costo di sembrare uno scherzo anacronistico della storia. È la sua voce, quella voce, densa e antica come il mondo, nonostante si tratti di un ventottenne canadese, oltre alla convizione palpabile in ciò che canta, a scacciare ogni dubbio: Colter Wall le canzoni le vive sulla propria pelle e intonando il blues del cowboy racconta un’esistenza e un tormento più universali, lui che comunque non ha mai nascosto l’amore per il lavoro nei ranch, rapito da un immaginario naturalistico.

La differenza questa volta la fanno i musicisti della band che lo circonda, con un suono che aveva già cominciato a “ingrossarsi” negli album precedenti e che oggi in Little Songs, quarto album sulla distanza, si presenta definitivamente più esuberante, a tratti rigoglioso, senza dubbio ricco di dettagli in confronto all’asciutta poesia acustica che lo aveva rivelato al mondo con il suo esordio. Nel passaggio si perde, va detto, molto del fascino da “mondo antico” e quell'epica da cavaliere solitario che emergeva in passato come ci trovassimo in un romanzo di Cormac McCarthy, rendendo così qualche episodio di Little Songs più prosaico (l’honky tonk al trotto di Standing Here, o la stessa title track), agganciato a certi inevitabili luoghi comuni del genere, mentre lo spirito più puro di Colter continua a brillare di luce propria quando gli arrangiamenti si fanno acustici, raccolti, capaci di esaltare l’anima del troubadour (la distanza richiamata in For a Long While, una accorata Coralling the Blues, il finale da bivacco di The Last Loving Words, con quelle note di armonica a spegnere le ultime braci del fuoco).

Brani nati in gran parte negli ultimi tre anni, quelli che distanziano il qui presente lavoro da Western Swing & Waltzes and Other Punchy Songs, composti in solitudine e poi rielaborati con la guida del produttore e polistrimentista Patrick Lyons. È quest’ultimo, insieme al soffio dell’armonica di Jake Grows e al fiddle di Doug Moreland a suggerire i movimenti più sussultori di questo Little Songs, un disco che sembra figlio del Johnny Cash che cantava le ballate del “True West” o del Marty Robbins alle prese con i duelli delle “Gunfighter Songs”, qualche volta lambendo i fantasmi di Hank Williams (sebbene andrebbe citato un altro Hank, Snow, viste le origini canadesi di Colter) e di tutta una generazione di padri fondatori della country music.

Lì risiede il pozzo dal quale attingere le acque che irrorano il terreno musicale di Little Songs, da uno stile di canto che in Cow/ Calf Blue Yodel pare persino giungere ai primordi di Jimmie Rodgers e che nella stessa scelta delle due cover in scaletta – il racconto di The Coyote & the Cowboy di Ian Tyson e i fremiti dal border messicano di Evangelina di Hoyt Axton – svela un innamoramento sincero che non lascia alcuna ambiguità sul personaggio e la missione che si è dato.


    



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