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Bonny Light Horseman
Keep Me on Your Mind/See You Free
[Jagjaguwar/ Goodfellas 2024]

Sulla rete: bonnylighthorseman.com

File Under: old & new folk sounds


di Fabio Cerbone (07/06/2024)

Cominciano a fare sul serio i Bonny Light Horseman, con la bellezza di venti canzoni che si espandono sulle quattro facciate di un doppio album. È evidentemente una provocazione quella che scrivo, perché l’intensità dell’incontro artistico fra Anaïs Mitchell, Eric D. Johnson e Josh Kaufman era chiara fin dal principio, da quell’omonimo esordio che rileggeva la tradizione folk posando lo sguardo sul presente, con le stratificazioni sonore e la pastosità armonica delle voci che ne aumentavano il fascino e le ambizioni, anche nel successivo Rolling Golden Holy.

Keep Me on Your Mind/See You Free - due dischi in uno, potremmo affermare, e due produzioni che si sovrappongono nel loro concepimento - rappresenta un traguardo che si fonda ancora su quella ricerca folk nella lontana Europa, qui più che mai simboleggiata dalla scelta della band di incidere parte dell’album in un vecchio pub nominato Levis Corner House, presso il villaggio costiero di Ballydehob, nella contea di Cork, Irlanda. Idea suggestiva e trait d’union perfetto per la narrazione musicale dei Bonny Light Horseman, che vi hanno trovato quel senso di naturalezza e di comunità che andavano cercando per le loro canzoni, compreso il vociare della gente del luogo e l’approvazione entusiasta del gestore, che li ha lasciati disporre strumenti e microfoni nella sala.

Completato nella campagna americana di Woodstock e dintorni, dove sono situati i Dreamland Recording Studios che hanno già visto protagonisti i Bonny light Horseman in passato, Keep Me on Your Mind/See You Fre ha preso così la forma di un lungo sogno ad occhi aperti, dove tutte le caratteristiche del suono del trio sembrano emergere con una vitalità a tratti più pop ed estatica, altre volte più fedele all’anima acustica e incentrata sull’eredità delle antiche folk ballad, così come sono state traghettate nel Nuovo Mondo. Definito nelle note di presentazione come una sorta di “ inno al benedetto disordine della nostra umanità”, Keep Me on Your Mind/See You Free altro non è che un viaggio nei sentimenti universali, che temi come l’amore e la perdita, i desideri e la sofferenza, la famiglia e la maternità possono generare nelle persone, qui resi in quella specie di cristallina estasi folk rock della quale i Bonny Light Horseman sembrano essere diventati dei maestri di delicatezza e cruda sincerità al tempo stesso.

Il miele dolciastro delle voci di Anaïs Mitchell e Eric D. Johnson in Lover Take It Easy e I Know You Know sono il collante di questa sensibilità musicale, mentre Kaufman è l’architetto sonoro che grazie alla sua esperienza di produttore trova i ricami più adatti per l’ordito del gruppo, che si avvale della sezione ritmica formata dai fedeli JT Bates (batteria) e Cameron Ralston (basso), e ricorre volentieri ai contributi di Mike Lewis al sax tenore, così come al supporto di Annie Nero alle armonie vocali. Il gioco di contrasti fra rapimento e asprezza si manifesta al meglio nella prima parte del doppio album, toccando l’apogeo negli stridori chitarristici e nell’esplosione di voci che invadono When I Was Younger, nel cullante pop acustico di Waiting and Waiting e nel binomio “tradizionalista” formato da Hare and Hound e Rock the Cradle, cuore folkie del disco grazie ai colori dettati da acustiche e banjo, fino a quando la grazia di Singing to the Mandolin fa un po’ da spartiacque per nuovi traguardi, oppure passando per assodati temi musicali (Tumblin Down, Over the Pass).

Quasi inevitabile pagare il pegno della ripetizione in un doppio che ha la brama di dire tutto e di più dell’intera esperienza dei Bonny Light Horseman, i quali da qui in avanti si fanno un poco più introspettivi (The Clover, Into the O) e languidamente sospesi tra l’invocazione della Mitchell in Speak to Me Muse e i palpiti jazzy del duetto di Your Arms (All the Time), ma anche capaci di chiudere tra l’agitazione liberatoria di See You Free, tra le onde di suono e riverberi che le voci e la chitarra elettrica restituiscono all’ascolto.

Tre dischi e un’opera che comincia a stagliarsi nitida nel rinnovato linguaggio folk di questi anni.


    



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