Sebbene sia
ancora oggi considerata l’ideale icona femminile del rock americano che
piace alle nostre pagine, nella discografia solista di Susanna Hoffs
mancava ancora il disco di canzoni autografe da consigliare con forza,
non quanto perlomeno resta auspicabile per tutti conoscere i dischi delle
Bangles degli anni 80. Il suo esordio del 1991 (When You're a Boy)
fu troppo sbilanciato verso il lato pop/mainstream, meglio era andata
con Susanna Hoffs del 1996 con David Baerwald in cabina di regia
a farle recuperare il sound americano a lei più adatto, e sulla stessa
linea si muoveva Someday del 2012 (Mitchell Froom alla produzione
in questo caso). Ma da solista lei sarà sempre più ricordata come interprete
di cover, sia grazie ai quattro volumi di Under The Covers realizzati
insieme a Matthew Sweet, sia per album più recenti come Bright Lights
(2021) e The Deep End (2023).
Eppure, nel 1999 lei il disco giusto lo aveva anche registrato, quando,
un po’ sconsolata per una carriera solista che non decollava, si chiuse
letteralmente nel proprio garage a registrare una serie di canzoni molto
personali, approfittando dello stop forzato per la maternità. Il disco
che ne uscì non fu accettato da nessuna casa discografica, si era al crepuscolo
dell’era d’oro delle vendite dei CD e non si rischiava più troppo, e ancora
non eravamo negli anni in cui l’autoproduzione era una strada consigliabile,
dunque il disco rimase nel cassetto e lei tornò on the road con la più
appetibile reunion delle Bangles (Doll Revolution uscirà nel 2003).
Peccato, perché queste dieci canzoni riflettono il suo amore per la musica
nata nelle cantine, quella dei suoi esordi da reginetta del "Paisley
Undeground", ripensate però per una dimensione decisamente intima
e famigliare, resa professionale dalla presenza del bravo Bill Bottrell.
Certo, erano gli anni che sul suo terreno Sheryl Crow conquistava le classifiche,
e ovviamente il disco era stato pensato senza preoccuparsi di una possibile
hit da dare in pasto alle radio, anche se Under
The Cloud che apre l’album sarà poi ripescata nel disco delle
Bangles del 2011 (Sweetheart of the Sun). A parte la conclusiva
Don’t Know Why, cover di un brano della Shawn Colvin di Fat
City, i brani sono scritti soprattutto con la collaborazione di Brian
MacLeod, e intervengono anche le ex Go-Go’s Charlotte Caffey e Jane Wiedlin
a scrivere l’intensa Life on the Inside.
Brani come Grateful e I Will Take Care of You badano quindi
alla sostanza con un suono di chitarre scarno ed essenziale, e la sua
voce sempre in primo piano, e canzoni come November Sun e I'll
Always Love You (The Anti-Heartbreak Song), pur non avendo la fresca
immediatezza dei suoi successi più noti con le Bangles, la rivestono con
i panni da cantautrice che forse avrebbe dovuto indossare più spesso in
carriera.
The Lost Record è un disco che lei ha voluto riesumare perché
rappresenta il suo lato più sconosciuto e personale, e arriva non a caso
all’indomani della pubblicazione del suo primo romanzo (This Bird Has
Flown), segno che forse è solo la prefazione di una nuova fase della
sua carriera.