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Ray LaMontagne
Long Way Home
[Liula Records/ Goodfellas 2024]

Sulla rete: raylamontagne.com

File Under: soulful folksinger


di Fabio Cerbone (26/08/2024)

È un artista a suo modo enigmatico Ray LaMontagne, non tanto per presunti misteri insiti nella sua musica, semmai limpida e ispirata apertamente da alcuni dei passaggi fondamentali del più classico cantautorato folk rock, quanto per la figura dell’uomo, una persona riservata che anche nelle scelte personali della vita ha preferito l'isolamento nell’ambiente famigliare, lontano dai riflettori. Tutto ciò si riverbera sulle canzoni, sull’intimità stessa delle liriche, e naturalmente trova piena espressione nella voce, quella voce, sensuale e increspata da vibrazioni soul, sospesa negli amori di sempre, dal Van Morrison “astrale” all’americana ante litteram di The Band, nel mezzo il country rock ombroso di Neil Young e la California di Stephen Stills, colui che si dice abbia spronato con una sua canzone (Treetop Flyers) la carriera dello stesso Ray.

Sono spiriti che inseguono costantemente la scrittura musicale di questo Long Way Home, ai quali andrebbe aggiunto oggi il nome di Townes Van Zandt, per stessa ammissione di LaMontagne una sorta di miccia che ha acceso l’intero progetto, ispirato dai versi di quella To Live Is to Fly che sono rimasti in testa per più di trent’anni, dalla prima volta in cui Ray la ascoltò dal vivo, direttamente dalla voce di Van Zandt. Long Way Home si concentra sul lungo viaggio dell’esistenza e sull’infinita traversata del musicista, forse influenzato dal passaggio della mezza età. Sta di fatto che il cinquantenne Ray laMontagne di Long Way Home assomiglia molto all’esordiente trentenne di Trouble (2004), perché dopo il ritorno a casa del precedente Monovision, anche questo disco sembra ritrovare quelle sensazioni e quei suoni, avvolti spesso in una bambagia country folk settantesca, dagli effluvi di I Wouldn’t Change a Thing al tepore acustico di Yearning fino al raggiante “raccolto” (Harvest, sì, proprio quello il riferimento) di una rivelatrice And They Called Her California, dagli zampilli celtic soul di una My Lady Fair che potrebbe sbucare direttamnete dai solchi di Moondance al cullare risolutivo della title track, anticipata dal breve bozzetto strumentale di So, Damned Blue, un corpo unico che sintetizza al meglio il fascino dell’interprete LaMontagne.

Così, dopo avere tentato, non sempre riuscendoci, inedite espressioni in album quali Supernova e Ouroboros, accentuando ora le trame psichedeliche, ora le lusinghe pop, anche servendosi della visione di diversi produttori, da Dan Auerbach (Black Keys) a Jim James (MY Morning Jacket), adesso LaMontagne si riappacifica definitivamente con la sua arte, e fregandosene delle accuse (che certamente torneranno a parlare di nostalgia e rievocazioni sparse) lascia fluire il suo canto e quelle chitarre che hanno dentro il peregrinare contemplativo e bucolico della migliore West Coast (il gioiello The Way Things Are), nonché la leggerezza cristallina di quel soul dai riflessi 60s che qui ha il compito di esprimersi al meglio nella maliziosa Step Into Your Power, singolo scelto per esaltare la collaborazione con le voci delle ospiti Secret Sisters ( Laura Rogers and Lydia Slagle), restituendo il favore dopo la presenza di Ray nell’ultimo disco di queste ultime.

Inciso nell’arco di poche settimane nel suo studio casalingo di campagna, coadiuvato dal produttore Seth Kauffman (Angel Olsen, Lana Del Ray), Long Way Home è il ritorno del figliol prodigo del folk rock di queste stagioni.


    



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