I passaggi di età sono difficili
per tutti, ma forse l’approdo ai 30 anni resta per molti uno dei più problematici.
In molti casi si perde un poco dello spirito libero dell’adolescente,
si recupera un senso di famiglia che pareva un pesante fardello di cui
disfarsi in fretta fino a poco tempo prima, e si entra in un decennio
cruciale per scelte di vita e di carriera, con tutte le ansie che questo
comporta. Difficile sentire qualcuno avere nostalgia dei propri trent’anni
quanto dei venti insomma, e così anche Adrianne Lenker, cantante
dei Big Thief non nuova a uscite personali (era del 2020 l’ambizioso doppio
progetto Songs/
Instrumentals), ha sentito il bisogno di raccontare il suo disagio
da trentenne in un disco che non a caso si chiama un po’ ironicamente
Bright Future.
Basterebbe anche solo il verso “Mamma, cosa è successo? Non avrei mai
pensato che saremmo andati avanti così a lungo. Adesso ne ho 31 e non
mi sento forte. E il tuo amore è tutto ciò che voglio” contenuto nella
iniziale Real House, lunga canzone
cardine che spiega tutto il senso del disco, per illustrare uno stato
d’animo decisamente comune. Che la Lenker poi ribadisce anche nelle successive
canzoni, le quali parlano di eredità emotive (il singolo Sadness As
A Gift) ricordi di infanzia (Free Treasure), vecchi amici persi
per strada (Fool), e di quel nervosismo che la vita più appartata
e casalinga di un trentenne porta in dote (tensione evidente in Vampire
Empire, brano che i Big Thief hanno messo in scaletta già da tempo
nei loro concerti).
E ovviamente le difficoltà di una vita amorosa che comincia a porsi degli
orizzonti che vanno oltre il sesso e il romanticismo (Cell Phone Says,
Candle Flame), con un finale dai toni pessimistici che lascia decisamente
l’amaro in bocca (Ruined) Non è un disco pensato per piacere a
un pubblico in particolare, quanto più una sorta di sfogo personale, una
piccola auto-analisi che evidentemente le serviva per voltare qualche
pagina, il che forse spiega come mai l'album abbia un tono quasi da raccolta
di demo casalinghi più che di progetto discografico strutturato. O forse
potremmo essere noi che non siamo più abituati a un disco registrato in
analogico dal produttore Philip Weinrobe in uno studio di registrazione
immerso nella foresta, con piano, chitarra acustica, violino e percussioni
(i musicisti sono Nick Hakim, Mat Davidson e Josefin Runsteen) che dialogano
a volume basso in ogni canzone, e una voce che pare essere stata registrata
in un’altra stanza a raccontare il tutto.
Il risultato forse eccede in autoindulgenza e in sottrazione, alcuni episodi
come No Machine, per esempio, danno l’impressione che forse con
un approccio meno nostalgico le canzoni avrebbero guadagnato in immediatezza,
ma pare evidente che l’idea nella testa della Lenker fosse quella di un
discorso più intimo al di fuori del piccolo clamore che i Big
Thief hanno comunque saputo suscitare in questi anni, diventando forse
la più importante realtà del mondo indie-roots di questi anni Venti. Per
questo, seppur nel suo voler essere caparbiamente un progetto marginale
nell’economia della storia del gruppo, Bright Future testimonia
comunque la vitalità artistica e compositiva di una artista ormai importante
per tutti.