Sulla spinta
della recente premiazione agli Americana Music Awards, dove ha ricevuto
un Lifetime Achievement Honor insieme al vecchio amico Dave Alvin,
Dwight Yoakam torna prepotentemente sulle scene con un album di
materiale inedito. Non lo faceva da ben nove anni, essendo il precedente
Swimmin' Pools, Movie Stars…,
comunque datato 2016, una sorta di greatest hits mascherato, reinterpretazione
di sue vecchie canzoni in stile bluegrass. Yoakam nel frattempo non si
è mai fermato del tutto, continuando a suonare dal vivo e curando anche
un show radiofonico di successo, anche se l’attesa per un rientro discografico
cresceva, soprattutto alla luce della freschezza e qualità che aveva dimostrato
nelle sue opere degli anni Duemiladieci, tra cui l’elettrico e sferzante
3
Pears e il successivo Second
Hand Heart.
Frutto di tre anni di lavorazione, prodotto in proprio e distribuito a
livello indipendente grazie all’appoggio della Thirty Tigers, Brighter
Days è qui per ribadire l’invidiabile continuità artistica di
Yoakam, che ancora una volta punta la bandiera e segna il territorio:
quando si tratta di country music di origine controllata, ha pochi rivali
in circolazione che possano sottragli lo scettro. Risulta persino riduttivo
liquidare la sua musica come strettamente legata all’idioma del country:
è in fondo sempre stato così, e Brighter Days ripete forte e chiaro
il concetto, offrendo lungo i suoi quattrodici brani, di cui tre cover
d’eccezione di cui andremo a parlare, una sequenza dove rock’n’roll, armonie
californiane, reminiscenze pop 60s si intrecciano, offrendo l’ennesimo
brandello di american music, come appunto la definirebbe l’amico
Dave Alvin, intepretata al tempo stesso con il mestiere di un musicista
navigato e l’esuberanza di un eterno ragazzo appassionato.
Sempre affiancato da un team di co-autori che firmano buona parte del
repertorio insieme a lui, raggiunto da una collaudata squadra di strumentisti
dove spiccano i nomi di Brian Whelan, Eugene Edwards, Jamison Hollister
e il vecchio compare Skip Edwards, e anche sostenuto dall’ospite Post
Malone, nuova chiacchierata voce del country contemporaneo che duetta
nella gioviale I Don’t Know How To Say Goodbye (Bang Bang Boom Boom),
Dwight Yoakam si posiziona nella sua “comfort zone” e porta a casa un
risultato lusinghiero, dallo sprint lanciato con Wide
Open Heart in apertura fino al vivace sobbalzare che sa di
dolcezze sixties nella chiusura di Every Night, sorta di viaggio
tra i punti cardinali del musicista del Kentucky, ormai californiano di
adozione.
Classico all’istante, brioso negli arrangiamenti, curato nelle parti vocali
che richiamano costantemente gli orizzonti della west coast, Brighter
Days riflette lo spettro completo del Yoakam-pensiero, da Elvis a
Buck Owens, dai Byrds a Gram Parsons passando per Buddy Holly e Roy Orbison:
c’è la ballata che ti aggancia all’istante in I’ll Pay The Price,
l’honky tonk che ruzzola elettrico in Can’t Be Wrong, le romanticherie
che fanno palpitare il cuore in I Spell Love e nella stessa Brighter
Days, il country rock da strada maestra di una scintillante A
Dream That Never Ends, magari da abbracciare in coppia con
If Only.
Resta da dire delle tre cover, scelte con accuratezza e neppure così prevedebili:
perché se è vero che una Time Between (Chris Hillman, dal capolavoro
dei Byrds, Younger than Yesterday) spedita in orbita honky tonk,
con tanto di intermezzo bluegrass per chitarra acustica e mandolino, è
tutto sommato una mossa facile, la trasfigurazione rock’n’roll del classico
Keep On The Sunny Side (Carter Family)
e soprattutto il luccicore country che emana la
Bound Away presa in prestito dal repertorio dei Cake non fanno
che aggiungere smalto a un disco e a un artista che avrebbero ancora molto
da insegnare alle nuove aspiranti generazioni.