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Tucker Zimmerman
Dance of Love
[4AD 2024]

Sulla rete: tuckerzimmerman.com

File Under: l'ultima stagione


di Fabio Cerbone (01/11/2024)

Che strana avventura la vita di Tucker Zimmerman, 83 anni e una nuova opportunità, inattesa, di farsi conoscere dal pubblico, lui rimasto per troppo tempo un oggetto misterioso, un culto mischiato tra i tanti folksinger americani emersi in quella stagione di rinascenza che è stata la fine degli anni Sessanta. Ci siamo abituati in realtà a queste resurrezioni artistiche e riscoperte discografiche improvvise, da Bill Fay a Rodriguez, per citrare i casi più clamorosi, l’elenco si è arricchito grazie al desiderio di fare luce su personaggi messi in un angolo, per sfortuna o semplicemente per scelte personali.

Ricade forse nel secondo caso la storia di Zimmerman, che oggi ha trovato nei Big Thief di Adrianne Lenker e Buck Meek dei giovani sostenitori innamorati della sua arruffata poesia folk, principali “sponsor” di questo album che la 4AD ha accolto con entusiasmo nel suo catalogo. Non facciamo fatica a comprendere l’infatuazione di Lenker e soci per la sensibilità musicale di Zimmerman, che sembra abitare spazi molto affini all’emotività degli stessi Big Thief, specialmente nei passaggi più rootsy e acustici del loro Dragon New Warm Mountain I Believe In You. Nel candore country folk espresso in Old Folks of Farmersville e Burial At Sea, con il fluttuare leggero della pedal steel di Mat Davidson in sottofondo, oppure tra i sussurri gentili delle voci (Adrianne Lenker una spalla costante in tutto il disco) che adombrano la bellezza fragile di Lorelei e The Season, si svelano tratti comuni, come se i Big Thief avessero incontrato un padre nobile disperso da chissà quanto tempo.

Zimmerman, californiano di origini, è germogliato come musicista nella San Francisco brulicante dell’epoca psichedelica di metà anni Sessanta, ha portato avanti studi classici al piano, ma si è innamorato anche del blues e della rivoluzione rock dell’epoca. Da lì sono scaturite le sue prime produzioni, in particolare quel debutto del 1969, Ten Songs, che portava la firma del produttore Tony Visconti e che pare avesse conquistato anche il cuore di David Bowie. Tucker Zimmerman però, sembra evidente dalla sua stessa biografia, era un artista destinato a un percorso più riservato, e dopo un altro disco a metà anni Settanta, si è mosso tra l’Italia (dove ha studiato musica con il compositore Gofreddo Petrassi) e soprattutto il Belgio, sua casa definitiva per i successivi cinquant’anni insieme alla moglie Marie Claire, la cui stessa infantile e deliziosamente impacciata voce ritroverete a duettare nella scherzosa filastrocca di Leave It On The Porch Outside.

Nel mentre è giunta un’altra dedina di oscuri album, e tra canzoni scritte per altri (tra i quali Paul Butterfield), colonne sonore e collaborazioni con il figlio Quanah, Zimmerman non ha mai pensato di tornare “visibile” fino a che non si è manifestata l'opportunità di Dance of Love. Dieci canzoni che fanno della loro bislacca “approssimazione”, della loro fanciullesca e minimalista visuale hippie-folk, la stessa che passa dalla concretezza di They Dont Say (But It’s True) allo svago di The Ram-A-Lama-Ding-Dong Song, un punto di forza espressiva più che un apparente trascuratezza di scrittura musicale. Anche perché il songwriting di Zimmerman è capace di esprimere una sua personale poetica, magari un po’ sghemba, lì dove i versi contengono gioia, messagi positivi e di pace come li definisce il protagonista stesso, incontrandosi a metà strada con il suono festosamente zoppicante dei Big Thief.

Sono questi ultimi che nelle più movimentate Idiot’s Maze e Nobody Knows sembrano esattamente richiamare il gesto americana un po’ obliquo dei Wilco (che non a caso hanno collaborato con un altro redivivo, Bill Fay): la prima inciampa su una ritmica al galoppo e sull’ordito scanzonato di chitarre e melodia, la seconda declina nei suoi sei minuti e mezzo un finale un po’ cubista da aspro folk blues elettrico con quella domanda - What’s going to happen next? - che Tukcer Zimmerman sembra rivolgere direttamente a se stesso, in quel misto di incertezza e ironia della sorte che l’esistenza gli ha riservato grazie alla realizzazione imprevista di Dance of Love.


    



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