Sedici anni
fa l’ultimo album in coppia, Strict Joy, con la cosapevolezza che
le strade erano già divergenti, non solo artisticamente. Eppure, il ritorno
del progetto The Swell Season - duo folk per eccellenza di questi
anni formato dalla pianista e cantante di origini ceche, Markéta Irglová,
e dal songwriter irlandese Glen Hansard – non si guarda indietro, non
insegue la nostalgia dei giorni radiosi di Once, colonna sonora
e relativo film che li ha proiettati nell’immaginario collettivo al traino
della loro storia d’amore, ma si “inoltra” nel presente. Forward,
un passo avanti nel ritrovarsi adesso come amici che condividono rispetto
reciproco e maturità personale, una sorta di accettazione di quello che
è stato e che può ancora essere attraverso otto brani che distillano l’essenza
del loro fare musica.
Con tutti i pregi e i difetti di ciò che The Swell Season hanno saputo
incarnare fin dal principio, quel romanticismo a tratti esasperato e dolcissimo,
in altri momenti dal retrogusto amaro, declinato fra ballate folk con
un cuore pop accorato e vibrazioni celtic soul. L’alchimia tra le voci
e le canzoni della coppia ha portato al successo, non calcolato, del citato
Once, inevitabile pietra di paragone (e pesante fardello) per la
loro carriera, fino all’Oscar per il brano Falling Slowly, ma entrambi,
e specialmente Glen Hansard, hanno una loro identità e carriera, che hanno
saputo muovere in altre direzioni, fino al rinnovato incontro di Forward.
Inciso sotto la direzione dell’islandese Sturla Mio Thorisson e con il
coinvolgimento di storici collaboratori del duo, l’album è un naturale
proseguimento del discorso “amoroso” di Markéta e Glenn, un approcciarsi
dopo tanto tempo con la constatazione che tutto è cambiato perché nulla
davvero cambi: il trasporto di Factory Street
Bells, su cui l’impronta artistica di Hansard, la sua capacità
innata di struggersi dentro melodie folk che sanno di antico e moderno
al tempo stesso, conferma questa linea di continuità. Poi le voci si cercano
e si alternano con ancora più enfasi nella tenerezza di People We Used
to Be e nell’illuminazione di fiati e carezze soul di Stuck
in Reverse.
L’impressione, perdonate la partigianeria, è che quando il timone passa
saldamente nelle mani di Hansard, il disco ne guadagni in intensità emotiva,
oltre che in spunti musicali più brucianti: avviene fra lo snodarsi di
A Little Sugar e nella sorprendente melodia zingaresca, un po’
alla Tom Waits, tra sezione fiati e una certa drammaticità blues, di Great
Weight. Quest’ultima resta tuttavia un’episodio a sé stante,
e molto vicino peraltro ad alcune intuizioni del Glenn Hansard solista,
mentre la natura più recondita dell’incontro artistico alla base
dei Swell Season deve anche fare i conti con l’intimità e il fragile affetto
di I Leave Everything For You o il
finale fanciullesco di Hundred Words, che magari rischia di deragliare
in un sentimentalismo eccessivo, ma appare anche come l’unica sincera
istantanea del progetto Swell Season nel 2025.