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troubadour master di
Fabio Cerbone (01/08/2013)
Ballate
che sanno di polvere e terra quelle di Guy Clark, aspre e romantiche, canzoni
per l'anima che non seguono il tempo corrente, ma una dimensione che è quella
del racconto, dei volti, delle storie comuni incontrate sulla strada. Un mondo
apparentemente chiuso e separato dal presente quello del songwriter texano, che
superate le settanta primavere non avrebbe più nulla da chiedere alla sua carriera,
venerato maestro per davvero (basti pensare allo splendido tributo This
One's for Him). Perché dunque My Favorite Picture of You,
una volta di più ostinatamente acustico, asciutto e austero possiede oggi il sapore
del migliore whiskey invecchiato? Uno dei lavori più intensi di questo ultimo
scorcio di carriera, eppure non così distante da quanto già assaggiato nella trilogia
formata da The Dark (il più recente capolavoro), Workbench Songs e Somedays the
Song Writes You. Per comprendere il cambio di prospettiva bisognerebbe forse partire
da quella vecchia fotografia in copertina, che Guy mostra con orgoglio e affetto:
è uno scatto della moglie Susanna, scomparsa lo scorso anno dopo una dura malattia
e che segna il passo dell'intero album, oltre ad ispirare la title track.
È
stata scattata un giorno fra i tanti di una lunga vita insieme, ma non si trattava
di un momento qualsiasi: Guy era appena stato colto sul fatto, ubriaco fradicio
con il pericoloso compare di mille avventure, Townes Van zandt. La pazienza di
Susanna, sua musa e accorta amministratrice, era scoppiata in un'espressione di
rimbrotto, a braccia conserte: Guy restituisce tutta quella giustificata rabbia
in una canzone che è un'ode d'amore spietata, onestissima, una delle dediche più
disarmanti che si siano sentite. È il senso di colpa forse a rodergli dentro,
e nonostante questo l'artista vero si ciba del dolore e lo metabolizza per scrivere
come atto di catarsi. Ecco dunque spiegato il mistero di My Favorite Picture of
You, album di walzer country e arse ballate folkie ancora una volta concepito
con l'accolita di musicisti che lo hanno accompagnato in queste stagioni: ci sono
le rustiche chitarre e tutto l'armamentario acustico di Shawn Camp e Verlon
Thompson, il violoncello di Bryn Davies,e c'è la voce di Morgane Stapleton
a sostenere spesso quella provata, ma densa di ricordi, di Guy Clark stesso. Così
la "spietata" predisposizione di Clark si trasfigura in una manciata di brani
che attraversano passato, ricordi, amore dal carattere personale, ma anche vicende
umane e personaggi di fantasia che rappresentano la quintessenza del suo songwriting:
da una parte le dolci confessioni di Cornmeal Waltz
e The High Price of Inspiration, la saggezza
di Good Advice e la sorpresa di Hell Bent on a
Heartache, il blues dell'anima di I'll Show
Me, dall'altra le strepitose istantanee dal confine messicano di Rain
in Durango e della rubiconda El Coyote (racconto
di immigrazione e sfruttamento).
Qui c'è un maestro in azione e i tanti
nuovi discepoli dell'Americana farebbero bene a prendere nota di come si scrive
una canzone: potrebbero partire dalla struggente Heroes
("who's gonna save the hero from himself"), osservazione dura e romantica al tempo
stesso sulla solitudine e la follia che accompagna i soldati americani dal ritorno
dalla guerra. L'alternativa è The Death of Sis Draper,
secondo atto di una storia già narrata in Could Dog Soup (1999) e qui rivista
seguendo di pari passo la melodia del traditional Shady Grove, tra un fiddle che
abbozza sapori irish e una voce che respira nel tuo salotto di casa. Undici partiture
acustiche, quasi tutte originali (fa eccezione la sola Waltzing Fool, ma
colta da uno dei suoi migliori alunni, Lyle Lovett), nessuna finzione, solo l'arte
di un cesellatore che sembra trasferire la pazienza del liutaio (lui che le chitarre
se le costruisce da solo) nella stessa concezione delle canzoni.