inserito 08/11/2006

Dan Bern
Breathe
[
Messenger 2006]

1/2

Avremmo scommesso su un finale diverso per Dan Bern. Nonostante tutto non si riesce mai veramente ad abituarsi a certi ridimensionamenti, questi ultimi spesso influenzati da condizioni esterne, promesse e paragoni insostenibili, e buon ultimo il solito disinteresse generale. Il fardello del "discepolo di Dylan" se lo porta appresso da una decina d'anni, dai giorni di un omonimo esordio che aveva fatto gridare al miracolo, gettando Dan Bern nella mischia delle nuove grandi voci della sua generazione. Non aveva chiesto tali paragoni e senza dubbio non lo si può incolpare per avere ostinatamente inseguito un particolare persorso artistico, consapevole che il suo treno della fortuna era passato. Restava peraltro una carriera da costruire e disco dopo disco Dan Bern si è svelato songwriter sarcastico e pungente, rocker di solida fattura, poeta e sognatore, alternando prove più o meno riuscite, ma sempre capaci di alzare l'attenzione dell'ascoltatore. Breathe non difetta in tal senso della prodondità che siamo soliti riconoscere al personaggio: liriche penetranti e mediamente superiori all'offerta di tanti colleghi, una spiccata attitudine a guardarsi intorno e a capire le ragioni di questo folle mondo, facendo domande e cercando risposte, magari rivolgendosi ancora una volta con coraggio a Dio (la lunga preghiera, oltre gli otto minuti di Past Belief). Musicalmente tuttavia qualcosa si è spezzato e l'effervescenza giovanile si è smorzata dentro un folk rock troppo prevedibile, nonostante la presenza del produttore Chuck Plotkin facesse ben sperare. Rispetto alla foga protestaria e divertita di My Country II, o persino alla vivace tensione rock di Fleeting days, Breathe è un disco che sembra riflettere la maturità dell'uomo Dan Bern, meno caustico e più riflessivo, oggi disposto a raccontarci storie intime e quotidiane. L'introspezione dei testi si è tradotta in una sequenza di mid tempo e ballate che solo a tratti trovano ancora il guizzo vincente: la slide guitar di Eben Grace che attraversa una commossa Suicide Room e la già citata Past Belief sono forse il connubio più convincente fra musica e parole. Quasi naturale poi lasciarsi condurre dai sobbalzi di Feel Like a Man, con quell'armonica che rimanda inevitabilmente all'ombra del maestro Dylan, così come dalle familiari Another Man's Clothes e Breathe, ma si tratta appunto di un film già visto e probabilmente con effetti più entusiasmanti in passato. Da dolci filastrocche quali Trudy alle confessioni di Visit in My Dreams, fino al rock'n'roll sbarazzino di Rain lo sviluppo complessivo dell'intero disco risulta effettivamente "telefonato", un gioco di autocitazioni.
(Fabio Cerbone)

www.danbern.com
www.messengerrecords.com