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22/09/2006
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Bruce
Cockburn L'immagine che ho sempre
avuto di Bruce Cockburn è quella di un cronista errante della nostra
era, con quell'aria da osservatore neutrale che solo un canadese può avere
(o forse anche uno svizzero…) e che gli ha permesso di raccontarci il
mondo in maniera profonda e realistica. Sarà forse per quella piacevole
abitudine di scrivere sempre il giorno e il luogo in cui ha scritto ogni
singolo brano, consuetudine che ci ha sempre permesso di immaginarcelo
mentre pensa il tal verso o suona la tal nota immerso nello scenario originale.
Negli anni novanta questi viaggi frenetici che lo portavano spesso a far
colazione a New Orleans e cena a Timbuktu ci hanno regalato una serie
di grandi dischi, dopo che le incazzature politiche degli anni ottanta
lo avevano un po' distolto dalla ricerca musicale di qualità. Adesso però
il nostro sembra essersi un po' fermato, le sue canzoni nascono e crescono
sempre più spesso in Canada e il racconto geopolitico dell'occasione è
una tesa ma forse anche scontata This is Baghdad, come se non vivessimo
già quotidianamente la nostra vita con qualcuno che ogni tanto ci sbatte
in faccia quella povera città disgraziata. O forse siamo solo noi che
non sentiamo il bisogno di qualcuno che ce ne parli ancora, perché agli
americani il brano e il disco in genere è piaciuto parecchio, ma questa
è un'altra storia…. Per noi se già il precedente You've
Never Seen Everything mostrava alcuni segni di stanchezza creativa,
Life Short Call Now si adagia ancor più nella ripetitività di
alcune soluzioni. Gli ingredienti per confezionare la sua solita torta
ci sono tutti: le soffici ballate, le sperimentazioni jazz (grazie alla
bella tromba di Kevin Turcotte), gli strumentali da perfetto manuale
del fingerpicking, qualche ospite di riguardo (Ron Sexsmith, Ani
Di Franco). E' la ciliegina che stavolta non sembra essere particolarmente
gustosa, perché se la novità del disco dovevano essere le sperimentazioni
con una orchestra d'archi, brani come Beautiful Creatures o To
Fit My Heart coi loro intrecci tra vocalizzi, falsetti e violini rappresentano
proprio gli anelli deboli e francamente più noiosi della nuova catena.
Che per il resto offre comunque anche una impennata di rabbia e orgoglio
degna dei suoi capolavori passati (Slow Down Fast, cioè Cockburn
come lo vorremmo sempre sentire) e una serie di buoni brani che nulla
aggiungono ma neanche tolgono alla sua buona reputazione. Nulla di male
quindi se per noi estimatori di vecchia data Life Short Call Now passa
nella lista degli album minori, perché se mai un neofita della musica
di Cockburn incappasse in questo disco per iniziare la sua conoscenza,
troverebbe comunque di che innamorarsi del personaggio. |