inserito 05/11/2008

Ryan Adams & The Cardinals
Cardinology
[
Lost Highway/ Universal 2008]



I numerosi detrattori italioti di Ryan Adams, se non altro per centrare l'obiettivo con minore approssimazione, farebbero meglio a condensare il volume di fuoco dei propri strali non tanto sull'esteriorità di superficie del personaggio - la prolificità esorbitante, l'abuso di sostanze stupefacenti, la catena di montaggio delle fidanzate etc. - quanto sull'effettivo valore delle sue irruzioni discografiche. Cardinology è la decima in meno di otto anni, e nonostante tutti i dubbi potenzialmente esprimibili riguardo a una simile fertilità creativa, ancora una volta fa pensare che Ryan Adams sia l'esegeta più consapevole e raffinato di se stesso, giacché ha avuto l'arguzia e l'ironia di intitolare questo nuovo album alla stregua di un trattatello sulle dinamiche del gruppo straordinario che lo accompagna (Chris Feinstein al basso, Jon Graboff alla pedal-steel, Neal Casal alle chitarre, Brad Pemberton ai tamburi) salvo poi rimpolparlo di brani che sembrano l'esatta contraddizione del feeling live che aveva contraddistinto il mini Follow The Lights (2007), ad oggi la miglior dimostrazione delle potenziali risorse e delle mercuriali alchimie della band.

Un difetto? Assolutamente no: Cardinology risulta infatti essere un disco impregnato di classic-rock sino al midollo, che dagli arpeggi sospesi di Crossed Out Name al sudicio r'n'r stonesiano (o, se si preferisce, à la New York Dolls) di Magick non spreca una sola opportunità per mettere in mostra la statura compositiva del titolare. Si rassicuri chi paventa un addomesticamento eccessivo dei Cardinals, poiché la maturità del sound elettroacustico di Natural Ghost (come non adorare l'incipit "I was waiting around for somebody to die / Nobody did but a part of me died / I suppose from all that waiting"), l'incontaminata fragranza semiacustica di Evergreen o l'eloquio sognante e trasognato di una Like Yesterday che guarda ai migliori Fleetwood Mac non sarebbero in ogni caso ipotizzabili senza il contributo di una rock'n'roll band adeguatamente allenata.

E si rinfranchi, al tempo stesso, chiunque nutra dubbi circa la levatura del songwriting di Adams, perché, pur non essendo un capolavoro, di piccoli capolavori Cardinology abbonda: vanno ascritti a questa categoria perlomeno la struggente piano-ballad Stop (che chiude le danze) e l'esplosione di percussioni e chitarre di Born Into The Light (che le apre), il commosso gospel elettrico di una Let Us Down Easy da archiviare immediatamente tra gli episodi più brillanti del carnet del nostro, le scudisciate di una Go Easy che reinventa il concetto stesso di heartland-rock, lo sfacciatissimo epos alla U2 di una stupefacente Fix It, fino alla meraviglia assoluta di Cobwebs: un periplo di redenzione tra la Manhattan midtown della quinta strada e il paesaggio autunnale di Central Park concentrato in poco meno di cinque minuti e in una raffica di sofferti chorus cui è impossibile opporre resistenza.

Liberissimi, a questo punto, di considerare Ryan Adams un annacquato fenomeno pop in grado di produrre nient'altro che effimeri fuochi artificiali. Liberissimi - ci mancherebbe altro - di catalogarlo alla voce delle speranze disattese. Ma liberi anche, io che scrivo e voi che leggete, di non perdere troppo tempo tra raffronti inutili o diagnosi spocchiose, e di godersi senza eccessivi patemi uno dei quaderni di canzoni più belli, sentiti ed entusiasmanti di tutto il 2008.
(Gianfranco Callieri)

www.ryan-adams.com
main.losthighwayrecords.com


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