inserito 17/12/2008

Jenny Lewis
Acid Tongue
[
Rough Trade/ Self
 2008]



A tre anni di distanza da quel Rabbit Fur Coat licenziato in coabitazione con le Watson Twins - primo tentativo di mettersi in gioco al di fuori dei Rilo Kiley - Acid Tongue è per Jenny Lewis la dimostrazione di essere riuscita a ritagliarsi uno spazio preciso come figura solista e soprattutto di voler rischiare qualcosa, facendo saltare in aria tutte le possibili corde della sua sensibiltà musicale. Non si spiegherebbe altrimenti un disco che, come e più che in passato, sguazza nelle anticaglie della pop music e del lascito artistico dei sixties mettendo insieme un collage di canzoni accattivanti, di ganci melodici e rock'n'roll song spumeggianti. Apparirà in superficie un disco furbo e smaliziato, e lo è a tutti gli effetti, se non che la capacità di sfruttare le poche armi a disposizione, compresa una voce che non è miracolo ma ha carattere e sa ammaliare, colpisce il bersaglio e induce all'ascolto curioso.

Non è soltanto merce per revivalisti dunque, ma un puzzle costruito ad arte e infarcito di piccoli camei e collaborazioni che ne amplificano le sfumature: saltando dal pop più ricercato al garage rock, da un soul arrembante alle trame più tradizionali del folk, Acid Tongue consegna una nuova interessante voce, non più una stellina a fare da contraltare all'amico Conor Oberst (proprio quest'ultimo la convinse alla carriera solista) o al musicista e fidanzato Jonathan Rice. Quest'ultimo mette lo zampino nella produzione insieme a Dave Scher e Jason Lader, ma soprattutto ricambia il favore a Jenny (che riempiva di cori il recente Further North) duettando nell'apocalittica The Next Messiah, strano incrocio garage soul scandito in tre tempi: si tratta in verità di tre canzoni differenti riunite in una sorta di unicum, quasi nove minuti di rock appiccicaticcio e cambi di ritmo. È forse l'episodio più ambizioso di un lavoro che tuttavia riserva sorprese ad ogni giro: la dolcissima carezza di Pretty Bird ad esempio, con l'ospite M Ward alla chitarra, una soave e fragile ballata dal titolo esplicativo, Bad Man's World, e prima fra tutte la stessa title track, un brezza folk d'altri tempi con una bella inforata di amici a sostenere le backing vocals (ci sono anche Chris Robinson dei Black Crowes, Zooey Deschanel e la sorella Leslie Lewis).

Tra una tenerezza e l'altra spunta qualche voglia improvvisa di rock'n'roll che non guasta affatto: See Fernando è nervosa e scalpita come una anticaglia di qualche cantina newyorkese a metà degli anni '70; Carpetbaggers è semplicemente un pop rock dal gancio facile e lo zampino di Elvis Costello, che duetta con convinzione, accresce la freschezza del brano, qualcosa di cui potrebbe andare fiero persino Tom Petty; Jack Killed Mom infine è uno struscio fra lo stomaco garage dei White Stripes ed il cuore gospel che batteva in Jenny Lewis fin dal precedente Rabbit Fur Coat. Il parossisimo da r&b indiavolato nel finale sarebbe stato la conclusione perfetta, ma la protagonista ha preferito spegnere le luci con una Sing a Song un po' ruffiana: poco male, fa parte del carattere di questa ragazza e va accettato insieme a tutto il resto, che non è affatto trascurabile.
(Fabio Cerbone)

www.jennylewis.com
www.myspace.com/jennylewismusic


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