Bruce Springsteen
Working on a Dream
[Sony BMG 2008]



:: Il sogno di Bruce Springsteen

Visto che Working On A Dream è il disco più eccentrico e bizzarro di Bruce Springsteen e che la sua essenza "pop" induce a cogliere l'attimo, per avvicinarsi serve scegliere una procedura che non sia standard. Qualcosa suggerito più dall'istinto, che dall'esperienza e qui forse vale la pena capire cos'è ancora "magico" e cosa vuole dire continuare a "lavorare ad un sogno". A prima vista, Magic e Working On A Dream sono intercambiabili e anzi i rispettivi titoli sono forse più funzionali se scambiati di posto: le canzoni di Magic facevano parte di un sogno che, asfissiato dall'aria crepuscolare americana degli ultimi anni, aveva bisogno di molto, molto lavoro per sopravvivere. Quelle di Working On A Dream, invece, fanno davvero riferimento a un mondo magico (quell'universo "pop" che va dai Beatles all'armonica di C'era una volta l'America passando per il cliché stesso dell'american dream) che però ormai esiste soltanto lì, nei sogni di Bruce Springsteen e, ovviamente, nei nostri.

Nella differenza tra i due dischi (palese anche a livello estetico e grafico: scarna e minimale per Magic; onirica e kitsch in Working On A Dream) c'è anche un possibile motivo dell'ennesima variazione di percorso di una carriera che, se la si guarda in prospettiva, non è mai stata molto lineare. In Magic, Springsteen usava la leva della nostalgia per riprendere in mano il suo vocabolario, citandosi al punto di lasciarsi andare all'autoreferenzialità (e anche ad una strisciante e cupa dissolvenza); in Working On A Dream sembra voler riferirsi ad un sogno più ampio e articolato (le citazioni e le appropriazioni indebite, a partire da Tomorrow Never Knows, sono indispensabili a quella logica) che torna ancora più indietro nel tempo, quando Roy Orbison suonava per i solitari e gli outsider e lui si rifugiava in camera con "quel maledetto arnese", come suo padre chiamava la Telecaster di turno. E' chiaro che l'oggetto del desiderio finale è fallito fin dalle intenzioni, perché l'idea stessa del "pop" ammette e sfrutta la nostalgia, ma non la condivide, ma è altrettanto onesto ammettere che in Working On A Dream Bruce Springsteen mostra una fede (che è qualcosa di più stratificato ed elaborato di un sogno) nel pop e nel rock'n'roll e per estensione nella musica in generale che è persino imbarazzante.

C'è una tale, appassionata ed entusiasta devozione, persino nel riciclare titoli, riff, suggestioni da original soundtrack e chitarre vintage (a partire dalle dodici corde di The River sparse un po' ovunque), che suggerisce di prendere Working On A Dream con le stesse cautele con cui si prova ad interpretare un sogno inusuale, inaspettato e ingombrante. Un sogno anche fluttuante da canzone e canzone, perché c'è una bella distanza tra le evoluzioni di Outlaw Pete e il ritornello (c'è solo quello) di Surprise Surprise, ma che, al contrario di Magic, proprio per la sua natura è una storia condivisa ed vitale. Una vecchia magia "pop" che ha alimentato le speranze del giovane Bruce e che nutre (in abbondanza) il saggio Springsteen: è il suo sogno e diventa la storia di tutti, o almeno di chi ci crede ancora.
(Marco Denti)

:: Eppure corrono ancora: le canzoni di Working On A Dream

Eppure Bruce corre ancora. Districandosi nel mezzo di una raccolta differenziata di materiale riciclato, Springsteen in fondo sta ancora seguendo le vicende dei suoi "tramps like us". Si apre riciclando un western di Sam Peckinpah questo Working On A Dream, con quel motivetto da hard rock di serie B e un'epica ritrita, ma il fuorilegge di Outlaw Pete corre per tutta la canzone, corre il cacciatore di taglie Dan per ucciderlo, corrono i violini per il finale hollywoodiano, e corre la E-Street Band per far brillare un brano che dal vivo farà crollare gli stadi. L'aveva già fatta anche My Lucky Day, girava già nei flutti del "fiume" e pure in quello che non ci era finito dentro per alimentare anni dopo le "tracce", ma evidentemente i suoi vagabondi oggi viaggiano ancora nell'"oscurità di un fiero esilio" alla ricerca del loro giorno fortunato. Era già stata fatta da mille altri anche Working On A Dream, poteva sostituirla tranquillamente con l'inno americano Star Spangled Banner, ma quel giorno da Obama lui c'era, e nella folla c'erano sicuramente anche i suoi vagabondi, con tutti questi sentimenti ingenui e retorici necessari all'occasione. L'aveva già fatto Roy Bittan il giro di piano che apre Queen Of The Supermarket, forse passeggiando al limite della città, ma quello che ci trovano lì i suoi vagabondi oggi non è più l'oscurità delle proprie paure, ma scintillanti e luminosissimi centri commerciali aperti alla domenica.

Può da solo Springsteen oggi "soffiarli lontano da questo fottuto posto", quando è nella seconda corsia che essi trovano vita e amore, non certo nel nulla delle loro case e dei loro 57 canali televisivi con dentro il nulla? E allora Bruce li segue, a costo di venire risucchiato nel loro nuovo amore pacchiano di This Life, nella romanza passionale televisiva di Kingdom Of Days, nella evanescente delicatezza di Tomorrow Never Knows o nelle straripate acque blues di una Good Eye riciclata già due volte da un palco di un tour solitario e dalle notti di Halloween del diavolo del New Jersey. In Life Itself e What Love Can Do i suoi vagabondi stanno solo ricercando le sensazioni abbandonate in un vecchio tunnel dell'amore, in Surprise Surprise ottimizzano il poco tempo concesso dalla vita odierna cercando solo emozioni veloci, come l'attimo che ci vuole a memorizzare il brano più pop della sua carriera. E Bruce gli concede tutto il pop di cui hanno bisogno, senza timore di perdere dignità o credibilità, con encomiabile coraggio.

Perché lui sa che i suoi vagabondi prima o poi si fermeranno, come si sono fermati i loro amici, i Bobby Jean d'un tempo, i Terry di ieri o i Danny della Last Carnival di oggi. E lui sarà pronto ad immortalarli in un nuovo film, fornendo mille altre The Wrestler per commentare le immagini, con quella splendida poetica secca e tesa che gli viene chissà perché solo quando è davanti ad uno schermo. Vale a dire quando ricicla ancora una volta una Streets Of Philadelphia, una Missing, una Dead Man Walking…
(Nicola Gervasini)


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