Jesse
Malin & The St Marks Social
Love it To Life
[Side
One Dummy/ Rude Records 2010]
Da non confondersi con l'omonimo disco del 2007, sorta di bootleg ufficiale
che catturava una bruciante ma sostanzialmente inutile live session con la band
del tempo, Love it To Life segna invece il ritorno vero e proprio
di Jesse Malin in studio, a tre anni di distanza da Glitter
in the Gutter, quello che era sembrato il suo disco più chiassoso e
glam. Ci eravamo sbagliati: il team artistico inventato oggi con i St. Marks Social
(l'amico Don DiLego, visto anche nel tour italiano lo scorso dicembre, i tamburi
di Randy Schrager, le chitarre di Matt Hogan e il basso di Tommy USA, collettivo
allargato poi alla cerchia degli amici, tra ex D-Generation e il solito Ryan Adams)
ricara la dose di generorità con un disco conciso (dieci canzoni, poco più di
mezz'ora di musica), dritto al bersaglio, gioiosamente esagerato nel dissotterrare
le radici punk rock e non solo del songwriter newyorkese. Palpita il cuore della
città in Love it To Life, batte il ritmo della strada, dei luoghi e dei ricordi,
ma brillano anche le luci più festose, i party e gli amori del sabato notte, tra
chitarre fragorose e ritmiche serrate.
Non si tratta del suo disco più
intensamente autorale, ma allo stesso tempo appare come la summa dei mille stimoli
che hanno alimentato la scrittura di questo rocker in via di estinzione: dalle
scudisciate punk smisurate di All the Way from Moscow
e Black Boombox alle agrodolci carezze pop
avvolte in atmosfere sixties di Lowlife in a High Life,
dalla malizia di Disco Ghetto alla ricerca
di quella patina glam un po' "cialtrona" in Burn the
Bridge, ovviamente con il naturale contorno di ballate uggiose, quelle
che hanno l'odore dell'asfalto e della pioggia sui vestiti. L'ispirazione per
un paio di queste ultime (The Archer, classica
al primo istante, la chiusura malinconica con Lonely
at Heart) scaturisce direttamente dalla strana avventura vissuta da
Malin in quel di Cornish, New Hampshire, casa e rifugio dello scrittore JD Salinger,
recentemente scomparso. Estimatore assoluto del romanzo Catcher in the Rye (Il
giovane Holden), Jesse ha provato il desiderio di conoscere e intervistare il
più famoso recluso della letteratura americana. Gli è andata male però, con una
pattuglia della polizia che lo ha fermato e rilasciato - così si racconta - solo
dopo essersi accertati che si trattava di uno strambo musicista e avendo visionato
come prova il video di Broken radio con Bruce Springsteen (anche a questo servono
le rockestar…).
Malin ne ha guadagnato comunque due grandi canzoni e
non è poco: forse sono state la stretta di mano di Salinger da lassù. In ogni
caso dall'episodio Love it To Life ha preso forma e con la spinta decisiva di
Ted Hutt (Lucero e Gaslight Anthem, tanto per gradire, fra le sue recenti
regie) ha tolto Jesse Malin dall'impaccio di una carriera indecisa se perdersi
fra dischi riempitivi (live e progetti di cover), documentari, scrittura o altre
simili distrazioni. Invece è scoppiata una volta di più la sarabanda elettrica
della sua anima, con un sound livido e veloce, qui simboleggiato in Burning
the Bowery, canzone che accende l'album, è il caso prorpio di dirlo,
con un anthem in piena regola, una natura corale e quella indispensabile dose
di teppismo che ti aspetteresti da uno così. (Fabio Cerbone)