Dom Flemons
Black Cowboys
[Smithsonian Folways  2018]

www.domflemons.com

File Under: folk seeker

di Pie Cantoni (25/04/2015)

Cowboy neri, così si intitola l'ultimo lavoro di Dom Flemons. Titolo azzeccatissimo in quanto il membro fondatore dei Carolina Chocolate Drops, in questo disco per lo Smithsonian Folkways Recordings, recupera materiale principalmente di tradizione country e della golden era del West e lo ripropone a modo suo, guardando avanti (soprattutto per trasmettere alle nuove generazioni) ma con un occhio nello specchietto retrovisore. Ovvero nello stile che contraddistingue il lavoro dei Carolina Chocolate Drops (ma si veda anche l'ottimo Freedom Highways di Rhiannon Giddens dello scorso anno). Black Cowboys però non è solo questo. E' un'operazione culturale di grande importanza, lo si evince dalle note che accompagnano il disco, quasi un saggio per dimensioni e dal lavoro che è stato fatto sulla scelta del materiale da riproporre: brani di tradizione country, ballate western, field-hollers, proto-blues, brani di tradizione popolare (alcuni di questi ripescati dal lavoro immenso fatto da John e Alan Lomax nei campi del sud degli Stati Uniti).

Di "peso" sono anche i musicisti che accompagnano Dom Flemons in questa avventura epica: Alvin "Youngblood" Hart chitarra e slide, Jimbo Mathus al mandolino e armonica, Stu Cole al contrabbasso, Dante Pope alle percussioni e Brian Farrow al violino. Curiosa la scelta di Dom Flemons che utilizza principalmente delle chitarre acustiche Fraulini (di chiara origine italiana) che venivano usate fra gli altri da Leadbelly fra fine '800 e inizio '900. Il cowboy nero non è soltanto un mito creato da Hollywood (Django Unchained e Silverado, per dirne due), ma un fatto che viene qui esaminato e convalidato da prove storiche, rendendo giustizia a chi ha costruito la storia degli Stati Uniti ma è stato dimenticato, vuoi per distrazione vuoi per semplice stereotipo, e narrandone le vicende. Entrare nei dettagli e in tutte le sfumature di questa raccolta va ben oltre i nostri scopi (e lo spazio a disposizione), quindi rimandiamo alla vostra lettura personale questi aspetti e ci preoccupiamo solamente della musica.

Ben diciotto canzoni compongono questo disco. L'inizio è con il field hollerin' di Black Woman, registrato negli anni '30 da John Lomax, per celebrare il ruolo delle donne di colore nel West. Poi si lascia spazio ad un pre-blues, Texas Easy Street, di Henry Thomas, dove insieme a Hart e Mathus vengono riproposte le atmosfere di un blues neonato (o che stava per nascere) in uno degli stati più legati all'iconografia del Far West. La prima canzone originale è One Dollar Bill, dedicata alle figure dei cowboy neri dei film di hollywood, a cui segue Going Down the Road Feelin' Bad, traditional cantato tra gli altri anche da Woody Guthrie, così come Tyin' Knots in the Devil's Tail e un altro classico delle canzoni da cowboy, Home on the Range, ma anche un medley di brani meno conosciuti di Lead Belly, grande cantore folk nero, Po' Howard/Gwine Dig a Hole to Put the Devil In. Di sapore arcaico, anche se composizioni originali di Dom Flemons, sono He's a Lone Ranger e Steel Pony Blues.

Il mood del disco, che continua omogeneo per i rimanenti brani, è molto chiaro e preciso il suo scopo. Traditionals, canzoni da cowboy, brani folk e pre-blues. Un'operazione di salvaguardia e di conservazione di una pezzo di storia che è andata persa o che è stata nel tempo distorta, ma che val la pena di ripescare e ripresentare al grande pubblico in maniera filologicamente corretta. Il tutto gestito in maniera magistrale da Dom Flemons, che ha setacciato gli archivi della Library of Congress per questo disco, vestendo qui i panni di un John Lomax moderno, che ci accompagna in questa avventura emozionante.


    


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