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folk seeker di
Pie Cantoni (25/04/2015)
Cowboy neri, così si intitola l'ultimo lavoro di Dom Flemons. Titolo azzeccatissimo
in quanto il membro fondatore dei Carolina Chocolate Drops, in questo disco per
lo Smithsonian Folkways Recordings, recupera materiale principalmente di tradizione
country e della golden era del West e lo ripropone a modo suo, guardando avanti
(soprattutto per trasmettere alle nuove generazioni) ma con un occhio nello specchietto
retrovisore. Ovvero nello stile che contraddistingue il lavoro dei Carolina Chocolate
Drops (ma si veda anche l'ottimo Freedom Highways di Rhiannon Giddens dello
scorso anno). Black Cowboys però non è solo questo. E' un'operazione
culturale di grande importanza, lo si evince dalle note che accompagnano il disco,
quasi un saggio per dimensioni e dal lavoro che è stato fatto sulla scelta del
materiale da riproporre: brani di tradizione country, ballate western, field-hollers,
proto-blues, brani di tradizione popolare (alcuni di questi ripescati dal lavoro
immenso fatto da John e Alan Lomax nei campi del sud degli Stati Uniti).
Di
"peso" sono anche i musicisti che accompagnano Dom Flemons in questa avventura
epica: Alvin "Youngblood" Hart chitarra e slide, Jimbo Mathus al mandolino e armonica,
Stu Cole al contrabbasso, Dante Pope alle percussioni e Brian Farrow al violino.
Curiosa la scelta di Dom Flemons che utilizza principalmente delle chitarre acustiche
Fraulini (di chiara origine italiana) che venivano usate fra gli altri da Leadbelly
fra fine '800 e inizio '900. Il cowboy nero non è soltanto un mito creato da Hollywood
(Django Unchained e Silverado, per dirne due), ma un fatto che viene
qui esaminato e convalidato da prove storiche, rendendo giustizia a chi ha costruito
la storia degli Stati Uniti ma è stato dimenticato, vuoi per distrazione vuoi
per semplice stereotipo, e narrandone le vicende. Entrare nei dettagli e in tutte
le sfumature di questa raccolta va ben oltre i nostri scopi (e lo spazio a disposizione),
quindi rimandiamo alla vostra lettura personale questi aspetti e ci preoccupiamo
solamente della musica.
Ben diciotto canzoni compongono questo disco.
L'inizio è con il field hollerin' di Black Woman,
registrato negli anni '30 da John Lomax, per celebrare il ruolo delle donne di
colore nel West. Poi si lascia spazio ad un pre-blues, Texas
Easy Street, di Henry Thomas, dove insieme a Hart e Mathus vengono
riproposte le atmosfere di un blues neonato (o che stava per nascere) in uno degli
stati più legati all'iconografia del Far West. La prima canzone originale è One
Dollar Bill, dedicata alle figure dei cowboy neri dei film di hollywood, a
cui segue Going Down the Road Feelin' Bad, traditional cantato tra gli
altri anche da Woody Guthrie, così come Tyin' Knots in the Devil's Tail e
un altro classico delle canzoni da cowboy, Home on the Range, ma anche
un medley di brani meno conosciuti di Lead Belly, grande cantore folk nero, Po'
Howard/Gwine Dig a Hole to Put the Devil In. Di sapore arcaico, anche se composizioni
originali di Dom Flemons, sono He's a Lone Ranger
e Steel Pony Blues.
Il mood del disco, che continua omogeneo per
i rimanenti brani, è molto chiaro e preciso il suo scopo. Traditionals, canzoni
da cowboy, brani folk e pre-blues. Un'operazione di salvaguardia e di conservazione
di una pezzo di storia che è andata persa o che è stata nel tempo distorta, ma
che val la pena di ripescare e ripresentare al grande pubblico in maniera filologicamente
corretta. Il tutto gestito in maniera magistrale da Dom Flemons, che ha setacciato
gli archivi della Library of Congress per questo disco, vestendo qui i panni di
un John Lomax moderno, che ci accompagna in questa avventura emozionante.