A proposito
del disco Aux Trois Malletz (un classico dal vivo,
“colloquio jazz – blues tra Willie Dixon, e Memphis Slim”,
com’è stato definito), il critico Richie Unterbeger ne riconosceva
la particolarità più che altro per il fatto che “una volta
tanto Memphis Slim si presenta in compagnia”, dato che
all’epoca, 1963 e dintorni, il grande pianista produceva numerosi
lavori in solitudine; lo stesso Unterberger più tardi rimediava
affermando che l’album, insieme a Willie’s Blues del
1959, pure nato dalla collaborazione tra i due giganti (Slim
e Willie), rappresentava un tassello prezioso del cosiddetto
blues revival, pur non essendo inserito in alcun cartellone
ufficiale. Il grande Peter Chatman si sarebbe stabilito definitivamente
proprio a Parigi; segno del momento di crisi che il blues
stava attraversando nel suo paese. Dixon, casalingo, continuava
invece a fare il Willie Dixon, contrabbassista, autore, arrangiatore,
band leader e chissà cos’altro; ce lo raccontano le rock stars.
Di tributi, soprattutto a Willie, ne circolano abbastanza,
diretti o indiretti; com’è come non è, i due, in coppia o
singolarmente, hanno prodotto alcune tra le pagine più significative
della storia del blues. Ma un “tribute” non si rifiuta mai,
soprattutto se credibile come quello fornito da Kenny Wayne,
“blues boss”, pianista di grande talento originario di Washington,
con la brillante idea di quest’omaggio congiunto, in realtà
particolare. Kenny (classe 1944) sta un paio di generazioni
più avanti rispetto a quella dei suoi antesignani, ma vanta
una lunga esperienza ed è attivo fin dai ’60; soprattutto
conosce tutti i trucchi del pianoforte, i ritmi, le sincopi,
il boogie e quegli intriganti patterns discendenti, cardine
del panismo di New Orleans, città dove si trasferisce in tenera
età (si stabilirà poi in Canada). Insomma, è uno in grado
di raccogliere con classe una sfida che in realtà è un po’
una gatta da pelare, che Slim è sempre Slim e a Kenny manca
un po’ il suo timbro pastoso; stesso dicasi per il bassista
Russel Jackson (Otis Clay, BB King), che come “Willie della
situazione” se la cava egregiamente.
Con il batterista canadese Joey Di Marco, i due propongono
versioni convincenti della trascinante Rock
And Rolling This House, di Pigalle In Love,
della pulsante The Way She Loves A Man e della soffusa
New Way To Love. C’è spazio per le classiche African
Hunch e Stewball, dalle venature gospel, per lo
splendido lento Messin ‘Round (With
The Blues) e per il
gioiellino meno conosciuto di I Got A Razor, dal citato
Willie’s Blues. Ma forse la parte migliore del disco,
vero tocco di classe, è quella che pesca nel repertorio del
glorioso Big Three Trio, nel quale militava Willie alla fine
dei ’40. Da qui la rilettura di brani come l’ironica Tell
That Woman, Don’t Let The Music Die, la travolgente
Ain’t Gonna Be Your Monkey Man Nomore
o la crepuscolare Got You On My Mind; un geniale mix
di blues, gospel, jazz e tradizione dei gruppi vocali prebellici.
Un sentito tributo a due grandi personaggi, oltre che un tassello
importante nella corposa discografia di Wayne: il blues boss.