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New Shot Records
A new label in town: dischi e rarità dal vivo

- a cura di Fabio Cerbone -

Con un’identità musicale precisa e un’attenzione da ricercatori dei “margini” con cui è facile sentirsi immediatamente in sintonia su queste pagine, una nuova etichetta italiana dal respiro internazionale è giuntà in città. “A new label for lovers of singer-songwriters and alike” recita la descrizione sul sito ufficiale della New Shot Records, illustrando in poche parole un mondo di musicisti e di storie che hanno alimentato dischi e concerti intorno all’America sognata. Da quelle parti, infatti, vanno ad attingere a piene mani le 9 uscite finora presenti nel già ricco catalogo dell’etichetta (in ulteriore espansione nei prossimi mesi), fondata da un’idea di Renato Bottani e Marco Melzi, entrambi con esperienze personali nel mondo della discografia e guidati dalla semplice dedizione per artisti e autori nati per essere outsider. Il coinvolgimento di altri famigliari nella realizzazione degli aspetti grafici (tutte le edizioni in CD sono proposte in agevoli quanto eleganti confezioni cartonate) completa l’impressione di un progetto che parte soprattutto da una passione di ascoltatori, attingendo a inedite registrazioni dal vivo (o in alternativa a incisioni live di studio), che non meritavano di restare chiuse nei cassetti. Una volta si sarebbe parlato di bootleg, più o meno ufficiali, qui invece tutto si muove nell’assoluto rispetto e nella condivisione con gli artisti stessi o i loro eredi, che ne hanno autorizzato direttamente le pubblicazioni

Molte di queste ultime giungono dai palchi italiani e da storiche esibizioni di tour passati, a cominciare da una delle più interessanti e preziose, quella che riguarda la figura di Eddie Hinton sul palco del Porretta Soul Festival nell’agosto del 1991. Si tratta orgogliosamente dell’unico show tenuto dal grande chitarrista e autore dell’Alabama al di fuori dei confini americani, lui legato in maniera indissolubile alla storia di Muscle Shoals e di quegli studi di registrazione. Live Smokin’ Soul - con le note interne e un ricordo personale dell’artista curati dall’animatore del Porretta, Graziano Uliani - ha il solo difetto di essere molto breve, sette tracce (di cui l’ultima un’intervista di Rick Hutton a Hinton, fatta proprio a Poretta in quell’occasione) per meno di mezz’ora di musica, eppure di assoluto valore. Una band in gran spolvero con sezione fiati e organo a dare corposità al sound, mentre Hinton graffia con la sua intensa vocalità southern soul passando in rassegna episodi del suo repertorio come (I Got To) Testify e classici quali Mr. Pitiful dell’amato Otis Redding. La qualità dell’incisione è buona, come d’altronde riveleranno anche le altre proposte della New Shot records, grazie a un lavoro di remastering curato dello stesso Renato Bottani, che ha cercato, pur con i ragionevoli limiti, di rendere il più possibile professionali e appetibili queste registrazioni.

É il caso anche del concerto della Tom Russell Band, Live By the River 1993, catturato nella storica Sala Marna di Sesto Calende, dove molti protagonisti del cantautorato americano lasciarono il segno del loro passaggio nella prima metà degli anni Novanta. Lungo un set vivace e ispirato, diviso tra acustico ed elettrico, Russell presenta all’epoca, siamo nel luglio del 1993, il recente album Box of Visions, aprendo la scaletta con il brano The Angel of Lyon (dallo stesso disco sono riprese Annette e Waterloo). Nel gruppo che lo accompagna, oltre a Dusty Wakeman al basso e Charles Calderola alla batteria e alla partecipazione di Radoslav Lorkovic all’accordion in Black Pearl, è presente lo storico collaboratore Andrew Hardin, chitarrista di assoluto pregio sia nella versione più legata agli stilemi country rock, sia nei passaggi acustici che profumano di border e influenze tex-mex. Lo dimostra naturalmente la versione del piccolo classico Gallo del Cielo (leggermente sacrificato Hardin nella resa della sua chitarra), ma non sono da meno altri gioielli di casa Russell come Blue Wing o il finale di Haley’s Comet, dimostrazione di uno stile folk rock anticipatore dell’Americana odierno, e che nel tempo Russell ha saputo anche arricchire di sempre più profondi contributi d’autore.

Un concerto che per ispirazione e stile fa il paio con la notevole testimonianza live di Greg Trooper and Band, intitolata Up on the Bandstand, questa volta proveniente da un concerto del novembre del 1997 a Chiari, lì dove nacque proprio in quegli anni l’attività ancora oggi infaticabile dell’associazione ADMR. L’album porta una dedica speciale non solo allo scomparso Trooper, folksinger nel New Jersey trasferitosi a Nashville negli anni Ottanta e in grado di stupire molti colleghi per la qualità delle sue canzoni, ma anche a Carlo Carlini, fondatore dell’agenzia Only a Hobo e responsabile in prima persona dell’organizzazione di molti tour di questi songwriter americani. Set generoso di quindici brani (non mancano gli highlights come We Won’t Dance, Light in the Window, Cumberland Square, oltre a una cover di Someday di Steve Earle) e ottimo suono che cavalca country rock stradaiolo e folk elettrico d’autore, dove emergono la voce tersa di Trooper, il suo racconto romantico e accorato, così come gli interventi della band, a cominciare dalla chitarre di un altro prezioso e un po’ dimenticato musicista quale Duane Jarvis (anch’egli scomparso prematuramente qualche anno fa), con una sezione ritmica completata da Greg Shirley al basso e Rick Shell alla batteria. Anche qui le liner notes del disco sono scritte da Renato Bottani, evocando spesso ricordi personali dei suoi incontri con il musicista al centro dell’incisione.

E ancora più stretto si fa questo rapporto di memorie tra Bottani e gli autori con il Live on Stage, interamente acustico per chitarra e voce, di Guthrie Thomas (nome d’arte di Andrew Lynn Herring), misconosciuto songwriter di origini texane con una produzione che andrebbe certamente riscoperta e valorizzata. Proprio Renato Bottani ricorda la pubblicazione un po’ carbonara nel 1983 di un disco di Thomas, Like No Other, sull’etichetta da egli stesso fondata e dalla breve esistenza, la Stetson Records. Una questione di affetto particolare dunque, che emerge nella scelta di recuperare questo intimo show acustico di Thomas dell’aprile del 1993 alla Sala Comunale di Sesto Calende, condito anche da contemporanee vicissitudini del protagonista e mancate occasioni che Bottani rievoca nelle note del cd. In assoluto uno dei dischi migliori di questa serie proposta dalla New Shot, il concerto conferma il valore del folksinger americano, avviato a una promettente carriera verso la metà degli anni Settanta con alcuni lavori per la Capitol e poi passato, come tanti colleghi, a incidere per etichette indipendenti europee. Undici brani dal suono acustico cristallino, accordature aperte e voce profonda che lascia emergere tutta quella tradizione di troubadour di scuola country folk che hanno costruito una certa mitologia della strada americana in stagioni lontane.

Discorso che vale a maggior ragione per Jack Hardy e il suo Live on Stage in Italy, incisione del novembre del 1993 a Caprino Veronese con il supporto di una interessante formazione acustica che vede David Hamburger al dobro, il fratello Jeff Hardy al basso e Wendy Beckerman ai cori. Eroe di culto della scena folk del Greenwich Village, animatore di serate e coalizzatore di talenti intorno a quella che fu una sorta di seconda rinascenza della New York d’autore a partire dalla metà degli anni Settanta, Hardy è scomparso per una grave malattia polmonare nel 2011, dopo avere lasciato testimonianza di altri passaggi dal vivo nel nostro paese, una serata in particolare a Bergamo di cui personalmente conservo ancora un vivido ricordo, avendo avuto l’onore di introdurlo sul palco. Lo stile nobilmente folk, arricchito con spunti più rurali e country (non indifferente in tal senso il ruolo del dobro) o altri di chiara ispirazione irish, rendono il repertorio di Jack Hardy molto omogeneo e coerente con un personaggio che anche nelle liriche non ha mai nascosto il suo impegno sociale, le sue osservazoni sul mondo e la strada che ha percorso. La bellezza di diciassette brani rendono questo Live on Stage in Italy uno dei più lunghi e abbondanti, quasi ottanta minuti, di questa serie di pubblicazioni della New Shot Records.

Più sanguigno e certamente legato alla ricca stagione di scoperta dell’alternative country e del cosiddetto roots rock della fine degli anni Novanta, è il Live from Thunder Road di Jason Reed and The Redneck Truckers (un nome che dice tutto sull’immaginario dei musicisti), proveniente dall’omonimo club di Codevilla, in provincia di Pavia, nell’autunno del 1997. Reed era uno dei tanti giovani promettenti songwirter dalla provincia americana che seguiva a quel tempo le orme di John Mellencamp e Steve Earle, promotore di un suono blue collar rock sporcato di country rurale. Il suo album Highway attirò le attenzioni della stampa specializzata (Buscadero) e del citato Carlo Carlini, che lo avrebbe portato in Italia inaugurando fra i due una sincera amicizia. Riascoltato oggi il sound di Reed, forse colpevole una band di supporto non particolarmente brillante, mostra un poco la corda, ancora acerbo (valga per tutte la versione davvero zoppicante del classico dei Creedence, Lodi) e troppo debitore nei confronti dei suoi punti di riferimento stilistici. Molta energia e ingenua passione emergono dall’iniziale Flatlands fino alla chiusura di Rock On Driver, ma manca quella scintilla in più per rendere Jason Reed un sicuro talento, e la riprova forse è nel fatto che di lui si siano perse sostanzialmente le tracce discografiche nel tempo, senza una vera affermazione.

Discorso che senz’altro non riguarda Kevin Welch, nome affermato della scena country rock fra Texas e Oklahoma (sua terra d’origine) fin dai primi anni Novanta, fondatore del collettivo di songwriter che ruota attorno all’etichetta Dead Reckoning e titolare di una serie di album di buon successo anche a livello nazionale. Una produzione misurata la sua, che si è attenuata nel tempo, ma sempre di qualità, come conferma questo Live from the Basement, che inaugura la serie di pubblicazioni della New Shot records tratte da incisioni internazionali e in parte inedite. Questa in particolare proviene da un concerto australiano dell’ottobre del 2003 con il gruppo The Flood (i chitarristi Kevin Bennett e James Gillard, le tastiere di Tim Wedde, Wayne Kellett al basso e Steve Fearnley alla batteria), in principio disponibile soltanto nell’edizione in DVD per il mercato australiano con il titolo di Plenty of Time. È un’esibizione di notevole qualità strumentale, ottimamente registrata e con un Kevin Welch in piena forma che propone dieci brani incentrati sulla sua migliore produzione: dall’iniziale Beneath My Wheels, dall’omonimo album del 1999, alla più recente Glorious Bounties, tratta dal disco Millionaire, solo di un anno precedente a questo live, oltre a qualche classico personale del cantautore come Life Down Here on Earth e la ben nota Something ‘Bout You (forse il suon brano più fortunato, complice uno spot pubblicitario). A impreziosire la scaletta alcune cover che lo stesso Welch aveva inciso nei suoi album di studio, dal Van Morrison di Queen of the Slipstream al John Hiatt di Train to Birminghan fino al “fuorilegge” texano Joe Ely con Me & Billy the Kid.

Consigliato davvero il nostro Kevin Welch, soprattutto agli amanti dell’Americana e della tradizione country folk più limpida, al pari di un interessante e del tutto sconosciuto Violin Sirens, album live di studio, come si dice in questi casi, registrato dal bostoniano Kevin Connolly nell’estate del lontano 1991 e per molto tempo relegato soltanto su nastro. Si tratta di una delle pubblicazioni più curiose e tuttavia da non trascurare del catalogo New Shot: nonostante questo folksinger del Massachusetts sia oggi un po’ dimenticato, il folk rock arrembante e il sostegno della band riunita per l’occasione (dove spiccano le chitarre di Steven Paul Perry, collaboratore di John Hiatt, e l’armonica di Jim Fitting, già nei Treat Her Right) garantiscono continuità al repertorio originale e la giusta convinzione allo stesso Connolly. Di quest’ultimo ricordo lavori come My My My e Little Town, che si inserivano in una nuova felice stagione di songwriter americani verso la metà dei Novanta, in quella Boston dove, per esempio, emergeva anche il collega Ellis Paul. Il repertorio di Connolly affonda le sue radici stilistiche nel folk rock di Bob Dylan e in quello di Van Morrison, ma in parte anche nel blues, e qui è interessante scoprire brani come Take Me To The Sea o Dancing In The Kitchen, che in seguito sarebbero stati rivisti in nuove versioni di studio.

A chiusura di questa lunga carrellata di proposte discografiche targate New Shot, parliamo di un’altra registrazione live di studio (la più recente, visto che risale all’aprile del 2010), ed è quella attribuita ai californiani Lil A and the Allnighters, palese sconfinamento nei più classici territori del blues elettrico, distanziandosi un po’ dal resto delle uscite sin qui elencate. Il disco, reintitolato A Blues Project, è in sostanza un’incisione pensata come “oggetto” promozionale per pubblicizzare il gruppo nei vari locali della zona e proporsi in tour sulla scena della West Coast. La band, guidata dall’armonicista e cantante Alex Woodson in arte Lil A, sarebbe arrivata all’esordio di studio soltanto molti anni dopo (Hip Ya, del 2019), di fatto qui testimoniando una lunga gavetta che parte dall’interpretazione di cover, tra gli altri, di Little Walter, Jimmy Rodgers, Amos Milburn. L’intera tracklist è un omaggio sonoro a quell’epoca, dalle più riconoscibili Mellow Down Easy e Chicken Shack a brani meno noti come quelli del compositore di New Orleans, Smiley Lewis. Punti di forza strumentali sono senza dubbio l’armonica del protagonista e le due chitarre swinganti di Anthony Contreras e Joe Conde, scuola West Coast blues che ha attinto dalle trame elettriche di Chicago, mentre proprio la voce di Woodson sembra l’anello debole della catena, alla quale avrebbero giovato un po’ di grinta e robustezza in più.

Come anticipato, sono già annunciate dai responsabili dell’etichetta nuove pubblicazioni in questi primi mesi del 2024, con il ripescaggio di autori di culto fra i folksinger degli anni Settanta, quali David Wiffen e Danny O’Keefe, o ancora l’inglese Lee Fardon, nonché una manciata di musicisti blues tra i quali John Hammond. Se la cura e la passione sin qui dimostrata dalla New Shot Records saranno confermate, e non abbiamo dubbi in merito, avremo altre interessanti sorprese “dal vivo” da segnalare.

Eddie Hinton, Porretta Soul Festival 1991 Kevin Welch and The Flood, Plenty Of Time 2003


Il sito dell'etichetta: newshotrecords.com


Il riepilogo delle uscite New Shot Records:

- Kevin Connolly, Violin Sirens
- Jack Hardy, Live on Stage in Italy

- Eddie Hinton, Live Smokin' Soul
- Lil A and The Allnighters, A Blues Project
- Jason Reed and The Redneck Truckers, Live from Thunder Road
- Tom Russell Band, Live by the River 1993

- Guthrie Thomas, Live on Stage

- Greg Trooper and band, Up on the Bandstand
- Kevin Welch and The Flood, Live from the Basement