Our
Kind of Country Alla
scoperta di Nashville Chrome di Rick Bass
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a cura di Marco Denti -
“Nel 1956 nessuno era più famoso di loro. Erano grandi
quanto Elvis, Elvis era grande quanto i Browns. Avevano vinto
tutti i premi più prestigiosi della musica country ed erano
stati nell’ambiente quanto bastava per essersi abituati alla
buona sorte. Avevano sempre e solo conosciuto l’ascesa; come
poteva esserci qualcos’altro?”
Rick Bass
Nashville Chrome [Mattioli
1885, pp.288]
La domanda di Rick Bass ne comprende
un’altra che resta nascosta tra le pieghe di Nashville
Chrome ed è un po’ la sua architrave segreta: è tutto
vero? O è soltanto il relitto di un miraggio che si aggira
in cerca di un approdo? La famiglia Brown vive nei boschi
nell’Arkansas, e i figli (Jim Ed, Maxine e Bonnie) scoprono
la bellezza delle loro voci in mezzo al frastuono di una vita
durissima. Dai Brown al gruppo dei The Browns, non cambia
soltanto una lettera alla fine del cognome. La musica come
passione, come fatto sociale, come espressione diventa occasione
di riscatto, ambizione, lavoro, fatica, fallimento, tragedia.
È una metamorfosi drammatica: vengono scoperti e sfruttati
senza pietà da un manager, Fabor, che diventa milionario spillandogli
le royalties, mentre si devono sobbarcare tour interminabili
dove la compagnia di alcol, pillole e altre forme di sostentamento
non proprio salutari diventa prima o poi inevitabile, finché
il danno non è compiuto.
È uno stereotipo, ma lo è diventato a forza di essere martellato
da una catena di montaggio inesorabile. Rick Bass non
lo nasconde: “La musica country sfrutta i suoi giovani interpreti
come i governi sfruttano i ragazzi mandandoli in guerra. Hank
Williams è morto sulla sua Cadillac, l’aereo di Patsy Cline
è precipitato, quello di Buddy Holly anche, mentre Waylon
Jennings aveva deciso di non partire cedendo il proprio posto
sul velivolo”. Nashville Chrome è una bella accolita
di fantasmi che si ritrovano bruciati: Here Today and Gone
Tomorrow cantavano i Browns e le canzoni dicono la verità.
Quello è il prezzo da pagare nel passaggio da musica popolare
a industria musicale, perché gli “Sweet Sounds” dei Browns
vengono trasformati all’alba del country & western, quando
la popolarità, intesa nel senso più esteso del termine, era
destinata allo sfruttamento di massa. Scrive Rick Bass: “Sarebbe
potuto succedere a chiunque; sarebbe potuto succedere solo
a loro. I Browns, guidati soprattutto dalla primogenita, la
più impetuosa e a amata, fecero da apripista e lo fecero in
fretta, come fuggitivi; tutti gli altri si riversarono dietro
di loro, standogli alle costole. E come se aprire o colonizzare
quel vasto territorio, l’idea di musica country, non fosse
abbastanza, i Browns traboccarono, sempre in quel breve periodo,
nei mercati confinanti: pop, rock, folk”.
In quel particolare segmento di Nashville
Chrome, Rick Bass mette in risalto la figura di Chet Atkins
che salva la carriera dei Browns, e in particolare quella
di Maxine, proprio nel momento in cui è tra gli artefici dello
sviluppo del country-pop. È solo l’inizio, ma attorno all’abilità
del chitarrista e produttore si addensa “una piccola cerchia
compatta: i germogli di quello che sarebbe diventato il settore
multimiliardario della musica country di Nashville passavano
di lì”.
È un’altra era, e un altro piano inclinato
sul quale scorrono le cronache dei Browns. Per Maxine, “il
mondo, o almeno il mondo della musica country, l’unico del
quale le importasse, l’ha circondata per dieci anni buoni,
è sciamato intorno a lei e alla sua famiglia quando si è scoperto
che lei e i suoi fratelli ne erano l’epicentro e il fulcro,
il desiderio struggente e la voce che hanno dato vita a quello
che presto sarebbe diventato il settore musicale ipercommerciale
di Nashville”. La contraddizione vissuta da Maxine è soltanto
l’inizio di tutti quegli attristi che sottolineano la ricerca
di qualcosa di inalterato e genuino da distinguere dai prodotti
in serie. Amanda Petrusich in It Still Moves (Arcana)
scriveva: “Il country è costellato di quelle opposizioni scomode,
i nuovi che suonano il vecchio, il country che suona pop,
i conformisti che fanno i fuorilegge, e di conseguenza è oggetto
di tutta una serie di congetture problematiche sulla sua legittimità”.
È vero che, alla ricerca di contrasti più forti e di emozioni
più epidermiche, il rock’n’roll avrebbe avuto la meglio su
tutti e là i Browns non ci sarebbero arrivati. Non a caso,
l’ultimo anno contato nelle biografie è il 1967, quando l’incendio
era ormai “out of control”.
Nel frattempo, c’è un altro passaggio
che Rick Bass sottolinea a più riprese in Nashville
Chrome seguendo le gesta dei Browns, ed è quello dalla
radio alla televisione, un cambio che ha travolto tutto: “Presto
la radio sarebbe stata seconda alla televisione nell’afferrare
l’animo di uomini e donne e tenerli inchiodati, prigionieri
del messaggio che veniva trasmesso, e la musica country sarebbe
passata in secondo piano rispetto al rock’n’roll, e di parecchie
lunghezze”. Elvis è la figura che fa da cardine in quel preciso
momento storico e Rick Bass lo riporta, com’era inevitabile,
ma dentro una luce del tutto particolare e che corrisponde
ed evidenzia molte sfumature di Nashville Chrome: “Per
Elvis dev’essere stata sicuramente una specie di sogno in
cui il sonnambulo non mette in discussione il proprio cammino,
ma viene semplicemente attirato da una parte e si muove senza
sforzo, per una volta non con ambizione ma con sentimenti
pacati, come speranza e curiosità”. L’aiuto delle immagini
è quasi invocato da Maxine, ormai avviata al crepuscolo della
carriera: “Nel mondo della musica country un film alla fine
della carriera o della vita è semplicemente di rigore. Dov’è
il suo? È come presentarsi sul palcoscenico senza scarpe o
come l’incubo ricorrente in cui, mentre suona e canta in un
grande locale elegante, le esce la voce ma il microfono non
funziona, perciò solo le prime le riescono a sentirla”. Qualcosa
si è rotto, svelando la fragilità dell’incantesimo.
In quel sfuggente frammento temporale,
diventa evidente la differenza che ha segnato la carriera
dei Browns e che è, a partire dal titolo, l’anima più
profonda di Nashville Chrome. Rick Bass spiega
bene la svolta: “Era ancora una cultura dell’ascolto più che
visiva, almeno per quanto riguarda il modo in cui la gente
si divertiva e si rilassava alla fine di una lunga giornata
di lavoro in fabbrica, esausta dopo avere arrancato per un
altro giorno allo scopo di avvicinarsi a quel po’ di benessere,
se non di ricchezza, che banalmente sembrava possibile raggiungere.
Si sedevano in poltrona, stappavano una birra, accendevano
la radio e ascoltavano la musica che veniva trasmessa come
se aspettassero istruzioni sul modo di vivere il resto della
loro vita o un incoraggiamento ad alzarsi e andare avanti,
a vivere vite più impegnate, eroiche, anche se a volte se
ne stavano semplicemente seduti dopo il lavoro, ad ascoltare”.
L’autenticità resta una chimera, la nostalgia è predominante.
E così è naturale che la parabola di
Elvis incroci e concluda quella dei Browns. Sono tutti in
caduta libera, ma loro l’affrontano tornando a casa, non potendo
ricominciare daccapo quando “tutti, nei paesini più remoti,
cantavano e suonavano, ma le voci di quei bambini erano diverse,
ammalianti, soprattutto quando creavano armonie. Nessuno capiva
bene perché, ma tutti ne erano incantati. Quel canto era davvero
a affascinante, dava sollievo. Guariva una ferita profonda
in chiunque ascoltasse, di qualunque ferita si trattasse”.
Il potere della musica resta straordinario ed è per questo
che Nashville Chrome è una storia particolare e insieme
un modello universale.
La ricerca della purezza e dell’innocenza
delle canzoni e nella musica (country, e non solo) è un paradosso
che si poteva spiegare soltanto con un romanzo come ha fatto
Rick Bass. Questa è forse la notizia di rilievo, ovvero
la fiction per capire quei meccanismi dello stardom system
e del music business che restano macchinosi e misteriosi.
Il tono di Nashville Chrome è conciliante anche se
i temi sono scabrosi, i personaggi vengono accompagnati da
una scrittura florida e accurata nei dettagli e nei risvolti
psicologici, che offrono una sorta di giustizia poetica ai
Brown. La costruzione del successo e della fama partendo dalle
canzoni è una scommessa e l’avventura dei Browns si sovrappone
a tutte le altre perché, se i cliché esistono, ci sarà un
motivo. Scalare le classifiche non è mai stato sufficiente,
la nostalgia per l’ingenuità o l’innocenza, anche se i tempi
erano duri, difficili e faticosi, è troppo forte. Rick Bass
attorno ai Browns riesce nella non facile impresa di far collimare
tutti gli aspetti, neanche fosse un’indagine antropologica.
Con la grazia del romanzo, riesce ad andare fino in fondo
e lì, come in ogni racconto di Rick Bass, c’è un fiume e dentro
il fiume ci sono Elvis e Bonnie su una barca che cercano una
sponda su cui fermarsi e fermare il tempo.