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Curtis Harding
If Words Were Flowers
[Anti records 2021]

Sulla rete: curtisharding.com

File Under: new soul


di Gianni Del Savio (19/11/2021)

Nato nel '79 a Saginaw, Michigan. Stesso luogo di tale Stevie Wonder, al quale, seppure non in modo sostanziale, Curtis Harding sembra dovere stilisticamente qualcosa: si tratta di modalità vocali, qua e là di riferimenti al sound urbano caratteristico di alcune opere dello stesso Wonder. E qualche impostazione melodico-ritmica è riconducibile anche a Marvin Gaye. Seppure non esclusivamente, siamo dalle parti del “Detroit sound”, magari rivisitato; ma, infine(!), sono riconoscibili anche tratti del “Chicago soul” di Curtis Mayfield.

A tutti questi confronti specifici, lui aggiunge lievi coloriture hip-hop, che portano acqua al mulino dell'attualità artistica. Questo è il clima sonoro che vi attende mentre collocate il cd nel lettore, o utilizzate qualsivoglia altro aggeggio tecnologico a disposizione. E' il suo terzo album. Un disco - dice Harding, citando una frase di Nina Simone riportata nel comunicato stampa, -, con cui vuole dar significato al tempo e alle relazioni che caratterizzano la nostra vita attuale. E se lo fa a volte con qualche lustrino di troppo, rischiando di essere sottovalutato, Curtis è comunque dotato di una bella voce soul. Prodotto da Sam Cohen, If Words Were Flowers apre con l'omonimo brano, dai toni introduttivi “solenni”: slow dalle tinte latineggianti, con fiati e un bel coro; una canzone che - afferma in un'intervista -, trae ispirazione da una frase che gli ripeteva la madre. E' un'impronta stilistica che ritroviamo in altre “tracce”, tra cui With You, ballad ancor più intimista, abbellita dagli archi e da ritmi ed effetti “esotici” che risaltano anche in So Low - di stampo melodico e (ancora) vagamente wonderiano -, o in Where's Love.

Altri brani sono gradevoli e ispirati, alcuni più incisivi e sostenuti da ritmi “più solidi”. Tra questi Can't Hide It e Hopeful, in cui Harding aggiunge bei sapori hip-hop, ed Explore, mid-tempo ben strutturato, con qualche similitudine con le trame vocali di Marvin Gaye, o Forever, segnato invece dalla chitarra e dalla sua voce anche in eco, con un brillante falsetto che trova ispirazione in Mayfield. In The One fa risaltare la sua duttilità interpretativa, ben sorretto dalla ritmica slow marcata, con la sottolineatura dei fiati. A chiudere in bellezza l'opera ci pensa I Won't Let You Down, ballad mid-tempo di stampo soul, evidenziata in particolare dal sostegno del sax e dei cori, in risposta alla solidità dell'ultraquarantenne interprete, che ben si confronta con alcune delle migliori voci black urbane odierne.

Un album, con qualche ricamo strutturale “superfluo”, ma che regge bene, anche ai ripetuti ascolti.


    


<Credits>