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blues made in Texas di
Fabio Cerbone (11/10/2016)
Tra i bluesmen italiani con un curriculum fra i più internazionali, Fabrizio
Poggi non ha mai nascosto il suo amore per la terra texana, luogo dove spesso
ha suonato, in particolare Austin, intrecciando amicizie artistiche ed esperienze
che gli sono servite per sviluppare il suo amore verso la musica tradizionale
americana. Dai tempi con i Chicken Mambo fino alla sua carrriera solista, Poggi
è sempre stato uno spirito molto aperto e curioso, oltre che un naturale divulgatore
del blues e della sua storia: come armonicista, cantante, e persino scrittore,
diviso fra progetti che potessero unire con un ponte ideale l'Europa e l'America.
Texas Blues Voices, il suo ventesimo album in carriera, non fa
eccezione: anzi, si presenta come una sorta di celebrazione del suono del Texas
e dei suoi protagonisti, voci appunto che animano la scena dei club di Austin,
alcuni con una lunga gavetta alle spalle, altri meno noti al grande pubblico.
Mettendosi quasi in disparte, come un direttore d'orchestra occulto, o
se volete una specie di "spin-doctor" e propagandista dei musicisti coinvolti,
Poggi non si espone in prima persona, suonando soltanto (si fa per dire) la sua
fedele armonica. Introducendo di volta in volta il protagonista di turno, guida
la band con la sezione ritmica formata da Donnie Price e Dony Wynn e si affianca
volentieri nelle parti soliste ai chitarristi di turno. Ne scaturisce un disco
di blues tra radici ed elettrico, dagli umori differenti: una linea che passa
dalla mitologia di Blind Willie Johnson alla modernità di Stevie Ray Vaughan,
in mezzo Lightnin' Hopkins e Freddie King, giusto per riportare alcuni mostri
sacri del blues ragionale che ispirano queste canzoni. La maggior parte sono brani
originali degli artisti presenti, ma si inizia doverosamente con un classico:
Nobody's Fault but Mine
è stata rivisitata in centinaia di versioni, eppure lo spirito che imprime alla
canzone Carolyn Wonderland con la sua voce non passa inosservato.
In generale
fra le Texas Blues Voices riunite per l'occasione da Fabrizio Poggi sono proprio
quelle femminili a lasciare un'impressione più duratura e convincente: Ruthie
Foster in Walk On, per esempio, o la commovente
ottantaseienne Lavelle White, in verità originaria della Lousiana, che intona
lo slow Mississippi, My Home accompagnata dalla chitarra slide di Bobby
Mack, e ancora la meno nota Shelley King con Welcome
Home. Questi ultimi sono spesso episodi dall'impronta gospel e soul,
che mostrano una marcia in più rispetto al Chicago blues di rigore in Forty
Days and Forty Nights (Muddy Waters) interpretata da Mike Zito o al classico
shuffle texano di Neightbor Neighbor di Bobby Mack, con un riff che richiama
un altro standard, Help Me. Non fosse altro perché tale approccio al blues elettrico
appare un poco più abusato rispetto al resto, nonostante l'organo e il piano di
Cole El-Saleh e la stessa armonica di Poggi offrano ogni volta qualche vivace
colore. Meglio allora la voce e il trasporto gospel di Mike Cross in Many in
Body, canzone di ispirazione buddista, con la partecipazione di Radoslav Lorkovic
al piano, e il finale acustico con il traditional Run
On, voce e chitarra resofonica nelle mani di Guy Forsyth, il nostro
Fabrizio a punteggiare e sostenere con il suo strumento.
Registrato interamente
in Texas, presso il Wire Recording Studio di Austin con Stuart Sullivan, Texas
Blues Voices aggiunge un altro capitolo al vasto romanzo blues che da sempre ha
in testa di scrivere Fabrizio Poggi.