Joe Thomas, Paradise City
[Carbonio Editore, 313 pp.]

- di Fabio Cerbone -

São Paolo è una metropoli di dodici milioni di abitanti che guarda al futuro, e nulla potrà ostacolare la sua crescita. Nel suo ventre le automobili si muovono come in una lotta quotidiana, pressate nel traffico caotico, mentre il mantello dello smog copre l'intera area urbana, che si espande in quartieri, sobborghi, città nella città. Le favelas fanno parte integrante di questo paesaggio, ma sono al tempo stesso un male da estirpare, un corpo "estraneo" e fatiscente per la buona società brasiliana che vorrebbe mostrare il suo volto più avanzato, al passo del nuovo capitalismo mondiale. Paraisópolis, Paradise City, è la più grande e temuta. Al suo interno ci lavorava Renata, una avvocatessa che credeva in un cambiamento e nella possibilità di riscatto per molti dei residenti. Una bala perdida, un proiettile vagante, l'ha uccisa durante un'operazione di "pulizia" della favela da parte dei militari, depennata come un "danno collaterale". Mario Leme, detective della Policia Civil e marito di Renata, non l'ha però cancellata dai suoi ricordi, che lo inseguono come fantasmi, costringendolo a ritornare sul luogo della tragedia.

E quando nel mezzo di Paraisópolis si troverà di fronte a un'altra bala perdida e alla morte inspiegabile di un ragazzo della ricca borghesia cittadina, comincerà a mettere insieme i pezzi, soprattutto perché lo deve a se stesso e alla figura di Renata. Scoprirà così - o forse soltanto troverà le conferme di quanto tutti già potevano intuire - la corruzione che nutre la città e l'intero paese: la politica, i grandi speculatori immobiliari, i militari, la stessa polizia per cui lavora. Dietro la trasformazione incessante di São Paolo si nasconde infatti la visione senza scrupoli di uomini come Mendes, il "nemico" di Mario Leme, con la loro visione di una nuova città rigenerata da presentare al mondo intero in occasione dei prossimi Mondiali di calcio, mentre il resto (favelas, povertà, crimine) è spazzatura da nascondere sotto il tappeto o da rimuovere con ogni mezzo, soprattutto illecito.

In un turbine di moderna gentrification e divisioni sociali, mescolando linguaggi ed espressioni vive (interessante l'idea di mantenere nel testo, anche nella traduzione italiana, molte esclamazioni in portoghese), il romanzo di Joe Thomas affronta argomenti espressamente politici con le armi del poliziesco più incalzante, e come nella migliore tradizione del genere, parte dal delitto per raccontare in verità qualcosa di assai più complesso. Inglese, docente di letteratura alla Royal Holloway di Londra, Thomas ha vissuto per dieci anni nel cuore del problema, São Paolo, mettendo a frutto la sua esperienza sul campo ed elaborando un'immagine personale di un popolo e della sua città. Paradise City diventa così un curioso esperimento, dove l'affilato stile hard boiled di maestri riconosciuti come James Ellroy e Don Winslow risulta singolarmente trasposto nella realtà brasiliana, con effetti altrettanto intensi. São Paolo non è Los Angeles, ma il senso di perdita di una smisurata metropoli e i riflessi su chi ci abita sono molto simili: ecco perché Paradise City procede con la medesima chiarezza di linguaggio, ma anche con squarci di affetti quotidiani, anche perché Mario Leme non è un eroe senza macchia o peggio un invincibile guerriero, semmai un uomo con il desiderio di restare a galla e magari di ritrovare il senso dell'amare qualcuno.

In questo Joe Thomas ha trovato la sua voce e di conseguenza il suo personaggio: un poliziotto in fondo molto "normale", comprese debolezze e limiti, il quale a un certo punto sembra persino finire in un vicolo cieco, lasciando che le sue domande e le sue indagini si perdano di fronte al muro di corruzione che invade ogni ingranaggio della società brasiliana.


L'intervista con Joe Thomas

- a cura di Marco Denti -

foto: © Oliver Holms

La prima impressione, leggendo Paradise City, è che tutti
i personaggi, a partire da Mario Leme, vivono in una città che non comprendono più, e che la città stessa, in qualche modo, sia la vera protagonista del romanzo. È così?

Sì, questo è il modo con cui secondo me la fiction può raccontare la storia di una città, o almeno provarci. In un modo o nell'altro, ho passato gran parte della mia da insider e outsider. La prospettiva è stata interessante, e liberatoria. So che il romanzo è profano, ma spero sia anche deduttivo. Credo che la chiave sia essere rigorosi nell'apprezzare qualsiasi posto. Ho esplorato, almeno credo, i discorsi del potere a São Paulo e come riescono, così mi è parso, a perseguire certi strati della società per mantenere lo status quo. I personaggi di Leme e Silva, il giornalista, sono il tramite per cui un tentativo di comprensione è possibile. La São Paulo dei miei romanzi ha molto in comune con la Londra contemporanea. C'è la gentrification e la separazione sociale, c'è un'élite politica sorda agli impegni, c'è il tragico collasso dei progetti di social housing, ci sono attacchi e violenze, c'è la dicotomia tra l'industria delle costruzioni e una profonda crisi delle unità abitative che alla fine si traduce in palazzi di lusso abitati da fantasmi.

Quindi dal tuo punto di vista, come l'architettura di São Paulo forma la vita e i tempi dei tuoi personaggi?

São Paulo è così piena di vita che ti senti energico, politicizzato, importante. Come scrive Ellie, una giornalista inglese che è tra i protagonisti del mio secondo romanzo, Gringa, ci sono "21 milioni di persone, 7 milioni di automobili, 900 negozi, 350 cinema, 54 parcheggi, 4 negozi di Tiffany, la mia città adesso, la mia nuova casa". Sono tre gli aspetti che sono in comune e pervadono Paradise City e Gringa: l'industria delle costruzioni, la separazione sociale di São Paulo in preparazione dei campionati del mondo di calcio del 2014 e delle olimpiadi del 2016, e la corruzione e la barbarie della polizia militare. Tutti e tre questi elementi erano parte della mia vita quotidiana a São Paulo ed erano imposti dal governo, dalla legge, dalla struttura politica della città. Credo di aver cercato di capire quale impatto abbiano avuto sulla gente di São Paulo.

Vivere a São Paulo ha cambiato le tue impressioni riguardo le favelas?

Non sono cambiate, davvero! Nel senso che... Per esseri onesti, non avevo alcuna opinione prima di trasferirmi. Proprio non ci avevo pensato.

È davvero pericolosa la vita nelle favelas brasiliane?

Guarda... Ho vissuto vicino alla favela di Paraisópolis, a Morumbi, e qualche volta ci sono andato a bere qualcosa con gli amici, a notte fonda, e ci sono passato in mezzo più volte, usandola come scorciatoia per andare a lavorare, in particolare nei momenti peggiori del traffico. Mi è stato detto più volte che il novanta percento delle persone che vivono nelle favelas sono lavoratrici, oneste e povere. Sembra un posto dove servirebbe una valorizzazione e anche dopo i cittadini ben istruiti potrebbero aiutare. Le due scene iniziali di Paradise City provano a catturare qualcosa di quell'atmosfera e anche le domande che sorgono spontanee quando un ragazzo ricco visita le favelas. Per questo mi sono basato su esperienze che ho conosciuto parlando con loro, compreso un giovane ragazzo che è tragicamente morto in un incidente. Spero di aver mostrato molto di più di São Paulo, ma anche che le favelas sono parte della città, e una parte che non può essere dimenticata. La visione europea distorce le favelas come un'estensione a parte e non riusciamo a comprenderle come sono in realtà. Spero che la mia rappresentazione mostri come, mentre ci sono esplosioni di violenza, queste sono comunità basate sul duro lavoro e su valori condivisi. Nel romanzo ho studiato anche il fallimento del progetto urbanistico Singapore, e la corruzione nell'industria delle costruzioni. Mi interessa molto la parte politica della città, in particolare l'idea per le l'élite che le favelas e i loro residenti possano essere cancellati.

Il personaggio di Mario Leme sembra che, cercando qualcosa, abbia trovato qualcos'altro. Forse l'amore? Forse qualcosa che succederà, in futuro?

Yeah, hai centrato l'obiettivo. È un amante, non un combattente. Penso che meriti di essere felice.

Paradise City e/o Paraisopolis, inglese e/o portoghese. Come hai trovato un equilibrio tra le due differenti lingue del romanzo?

È una domanda che, non a caso, mi è stata posta spesso anche in Gran Bretagna. Le risposte più brevi sono: istinto e un buon editing. Oppure no, perché forse è la parte più divertente: giocare con i linguaggi, gli idiomi. Ma la ragione è un tentativo di disorientare, anche per immergere il lettore nell'esperienza di São Paulo.

C'è qualcosa che non sapevi e che avresti voluto conoscere prima di scrivere Paradise City?

Penso che non conoscere qualcosa sia molto importante nel tentativo di scrivere un romanzo. D'altra parte, avrei voluto conoscere meglio cosa stava succedendo nell'economia brasiliana. Il cambio mi ha davvero fottuto... Scherzo... In parte...

Quali letture, o visioni, o ascolti ti hanno influenzato?

Sono stato influenzato da questi scrittori dal Brazile, e oltre. Per il loro stile incendiario, gotico e per le notevoli politiche narrative: James Ellroy e David Peace, e Jean-Patrick Manchette. Per l'abilità di distinguere un'esperienza singolare dentro una frase, o una parola: Clarice Lispector, Rachel Cusk, Eimear McBride, Lucy Caldwell, Daniel Galera, e Gwendoline Riley. La musica brasiliana ha avuto un ruolo molto importante del dare forma al romanzo. I due film Tropa de Elite sono stati istruttivi nel loro approccio sugli aspetti della corruzione nei livelli alti e bassi della società. Ho letto tutti i libri di Rachel Kushner e penso sia un ottimo esempio di quello che sto cercando di fare anch'io.

Passato e presente si alternano in Paradise City, ma questa è anche una caratteristica del Brasile che a tratti sembra mostrarci il futuro e a volte ci ricorda il passato.

Ottima osservazione. C'è un passaggio in Paradise City che dice "São Paulo non ha passato". Ovviamente è un po' sarcastico, ma cattura qualcosa di quello che sento per il luogo, che è implacabile, e non guarda indietro. Gli eventi politici delle ultime settimane hanno cambiato tutto. Ora la città, e l'intero paese, si guardano alle spalle, in qualche caso nostalgici persino del periodo della dittatura. E quello che è successo ha cambiato le mie sensazioni, almeno rispetto ai termini della tua domanda. Mi aspettavo che Bolsonaro (il nuovo presidente brasiliano, ndr) vincesse, ma non pretendo di avere qualche grande analisi da mettere a disposizione. Detto questo, la terza parte della mia trilogia, Playboy, è ambientata nel corso delle proteste pro e contro Dilma Rousseff. All'inizio del romanzo, un personaggio esprime l'opinione che le indagini sulla corruzione che hanno portato alla fine del governo di Dilma Rousseff e alla conseguente perdita di fiducia in tutti i partiti, avrebbero portato a un leader, uno che avrebbe promosso la linea dura della dittatura militare. Può sembrare una profezia, ma credo sia stato soltanto il frutto naturale della mia comprensione di ciò che stava accadendo, e che accade ora. Bolsonaro esprime punti di vista profondamente orrendi sulle donne, sulla razza, sulla comunità LGBTQ, sull'uso delle armi. Le sue dichiarazioni sono lì da anni e la sua popolarità è basata da un sentimento popolare che è cresciuto attorno alla criminalità. Bolsonaro ha reso il crimine, che è indubbiamente un problema, "il" problema.

Quindi, dal tuo punto di vista, qual è il vero problema del Brasile?

Le conseguenze della corruzione. Le difficoltà economiche sono dovute in larga parte a questo e la maggior conseguenza della corruzione è la continuazione della spaventosa povertà e dell'ineguaglianza sociale.

Avendo la possibilità di un tocco magico, cosa cambieresti di São Paulo e in particolare delle favelas?

Proprio la crescente diseguaglianza.

Infine, Paradise City non è soltanto la traduzione di Paraisopolis, ma è anche la canzone Guns'N'Roses. O no?

Certo che lo è! In origine, la mia idea era di scrivere una serie di romanzi con i titoli tratti dalle canzoni di Appetite for Destruction. Quell'idea non è durata a lungo, ma devo dire che Welcome To The Jungle, in effetti, poteva essere un buon titolo!


 


 


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