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Melissa Anne Peterson, I ragazzi di Cota Street
[Jimenez Edizioni, pp.224]

- di Fabio Cerbone -

“La disperazione ci entrava dalla suola delle scarpe dopo una dura giornata. La inghiottivamo insieme alla birra” (Melissa Anne Peterson, 'I ragazzi di Cota Street')

Cota Street è una strada perduta, un luogo per i reietti e gli sconfitti, uno dei tanti vicoli ciechi dove va a depositarsi la sporcizia dell’America. I ragazzi che ci vivono più che una generazione bruciata rappresentano una a cui hanno rubato un destino, sembrano non essere mai nati e lottano contro un’esistenza fatta di povertà, violenza, lavori (quando ci sono) precari e senza sbocchi, sullo sfondo di roulotte arrugginite, fabbriche di legname in smantellamento, terreni sfruttati dalla speculazione.

“Io sono una guerriera”
dice la voce consapevole di Vera Violet, nata in questo ambiente e gettata sulla strada a cavarsela da sola: un padre che cade inesorabilmente in disgrazia, una madre che fugge, un fratello che condivide con lei una sorte segnata. La sua battaglia è il grido di tutti ragazzi di Cota Street: “figli di immigrati, nomadi e contadini”, feccia bianca, white trash come dicono qui, drogati, ribelli, sempre in cerca di guai. “La mia vita sarebbe stata difficile”, e così è, senza sconti, per duecento pagine che Melissa Anne Peterson scrive con un lirismo nel quale l’incalzante poetica della scrittura è un tutt’uno con la storia che vuole raccontare. Frasi brevi, secche e romantiche al tempo stesso, cronaca ed evocazione, ricordi affastellati, non un momento di respiro per vicende umane che non possono che uscire dalla sua penna in questo modo.

È una ballata amara I ragazzi di Cota Street, un romanzo d’esordio che non ha paura di sporcarsi le mani, di risultare anche disturbante e cupo, eppure sincero con i suoi personaggi: Vera Violet è l’anti-eroina di Melissa Anne Peterson, come lei crescuta nello stato di Washington, Pafific NorthWest, degrado ambientale tutto intorno che si salda a quello sociale e umano, formando un grumo di fango e sangue. Seguiamo le lacerazioni continue della sua vita incontrando l’amore disordinato con Jimmy James Blood, l’Uomo di Angel Road, il fuorilegge con la Les Paul a tracolla, e poi l’amica del cuore Annie, il triste fidanzato di quest’ultima, Brady, la fatale coppia di Duane e Kat, e molti altri brandelli che si uniscono senza una linea di continuità. Infatti, essendo quella di Vera un’esistenza in frantumi, anche il suo racconto procede per improvvise illuminazioni e repentini blackout.

Sappiamo che a un certo punto ha cercato un rifugio a St. Louis, migliaia di miglia di distanza, e che ha fatto terra bruciata, e che arriverà fino in Montana. Sappiamo anche, proprio all’inizio del romanzo, che il padre le ha scritto una lettera e che nel frattempo è successo qualcosa, si è scatenato letteralmente l’inferno a Cota Street. Ma per capirlo Melissa Anne Peterson sceglie di raccogliere i cocci alla rinfusa, e non potrebbe essere altrimenti: dobbiamo insieme alla scrittrice ricostruire la mappa di queste vite schiacciate e in preda a un terribile disincanto, far combaciare i pezzi andando avanti e indietro dall’infanzia all’adolescenza fino all’età adulta di Vera Violet O’Neel per comprendere veramente cosa ha significato crescere in Cota Street e se per lei è stata prevista una salvezza.

La recensione dal blog di BooksHighway (di Marco Denti)
http://bookshighway.blogspot.com/2020/09/melissa-anne-peterson


I ragazzi di Cota Street, una playlist musicale ispirata dalla lettura del libro.
(in collaborazione con Melissa Anne Peterson)

    

 

L'intervista con Melissa Anne Peterson

- a cura di Marco Denti -

I ragazzi di Cota Street è il tuo primo romanzo. Quando hai cominciato a capire che volevi diventare una scrittrice?

Prima ancora che potessi scrivere una parola, scarabocchiavo delle linee sulla carta e incollavo le pagine in “libri”. Ero molto piccola, e la mia famiglia viveva nel seminterrato mentre costruivamo la nostra casa. Tracciavo linee ondulate di “testo” con i pennarelli sulle pareti di cemento. Alle elementari, quando i miei insegnanti chiedevano alla classe cosa volevamo diventare da grandi, rispondevo: “autore”. L’impulso di raccontare storie, usando poesia o romanzi, mi segue da sempre.

Quanto tempo ci hai messo a scrivere il libro?

Ho scritto la maggior parte quando avevo vent’anni. Ci sono state più bozze e il romanzo è passato attraverso revisioni complesse. All’inizio, non sapevo nemmeno come scrivere un libro. L’ho lasciato perdere per poi riprenderlo mesi dopo. Ho speso anni per rivederlo. Ero impegnatissima, e avevo molti progetti in corso. Ho dipinto murales, ho lavorato in un bar e sono stata vicepresidente dell’assemblea studentesca. Seguivo una rivista letteraria, avevo una famiglia. Scrivere il romanzo è stato complicato, ma non avrei mai potuto rinunciare. Sì, a volte penso che forse avrebbe avuto più senso mollare, ma non ho potuto. Sentivo che dovevo scrivere quel libro, e che volevo pubblicarlo. Tutto sommato, ci sono voluti circa sette anni per scriverlo, e altri dieci anni per farlo pubblicare. È stato un processo molto lungo.

Quali sono state le scene più difficili da scrivere?

Le scene di odio e di abusi. E la violenza. Anche cercare di illustrare l’isolamento sociale ed economico in cui si trova Vera Violet. Erano tutte scene complicate, ma continuavo a pensare che fossero necessarie. Pensandoci, forse la parte più difficile del libro non è stata una scena particolare, ma il modo in cui la storia è raccontata. I ragazzi di Cota Street è scritto in senso retrospettivo perché volevo riflettere la mente umana mentre lotta per elaborare il trauma. Le verità più dure vengono per ultime, e lo spazio tra l’avanzare ansioso dei personaggi e la vicinanza dell’osservatore è confuso. L’intero romanzo è scritto in quello spazio, lì in mezzo. Le persone possono perdersi lì, a metà strada verso la redenzione. A volte le comunità o interi paesi rimangono bloccati lì. Le persone possono trascorrere tutta la vita in quell’oscurità. È depressione, ma anche una reazione ad un mondo che non possono controllare, ad una sensazione di abbandono.

In questo momento, l’America sta elaborando una storia tossica a un livello più profondo. È una lotta. La gente sta protestando per le strade. Non vogliono vivere come hanno vissuto. Sono stanchi di vedere tanta ingiustizia. Cambiare tutto questo è un rinnovamento culturale, ma ci vuole anche lavoro. Si tratta di sbarazzarsi di cattiva politica e sostituirla con leggi giuste. I ragazzi di Cota Street è stato scritto nell’oscurità prima del cambiamento, prima che la società venga ristrutturata, prima che qualcuno si metta con te. Si tratta di disturbi psicologici. Scrivere in quello spazio è stata la cosa più difficile, perché non c’è speranza lì.

Cosa ti ha sorpreso di più tra quello che hai imparato lavorando a I ragazzi di Cota Street?

Mi sono imbattuta in cose sorprendenti mentre stavo facendo ricerche sulla storia delle lotte sindacali nello stato di Washington. Le prime industrie di legname utilizzarono le profonde baie e i fiordi del Puget Sound per spedire legname. I baroni del legname ricevettero enormi appezzamenti di terra nonostante l’esistenza di comunità native americane. La maggior parte degli immigrati britannici e scandinavi lavoravano in questi remoti campi di legname. I lavoratori erano davvero trattati malissimo. I conflitti impiegarono molto tempo a svilupparsi perché il sistema di potere era così squilibrato. Questi piccoli gruppi di persone molto povere hanno combattuto contro grandi aziende che hanno usato la violenza e la manipolazione per mantenere le cose come erano. È stato molto triste da scoprire.

I ragazzi di Cota Street mostra una versione differente e molto efficace del Pacific Northwest. Quanto significa quell’area per te?

Il Pacific Northwest significa davvero molto per me. Gli animali, le piante, lo stesso ecosistema è molto importante ed è fonte di costante ispirazione. Quando tutto il resto mi sembra incomprensibile, questa è la parte in cui credo, i fiumi, i pesci, e gli alberi. Questo è ciò che mi dà forza e nutre la mia anima. Mio figlio è nato in Montana, ma siamo tornati a Washington quando era molto piccolo. Passo un sacco di tempo all’aperto con lui ora. Camminiamo nei boschi e guardiamo tritoni, muschio e scoiattoli. Lo faccio da quando era un bambino. Sentivo che qualcosa mancava nelle nostre vite, e volevo mostrarglielo. Volevo che avesse lo stesso legame con un posto che ho io. Ci vuole una vita per vedere come tutto si incastra, quindi volevo iniziare a mostrarglielo subito. L’Olympic Peninsula e il Pacific Northwest rappresentano per me complessità e completezza. È il posto che ho osservato di più.

Questa intensa relazione con la natura, il clima e l’ambiente è la stessa che si può intravedere nel libro. Da cosa dipende?

È un rapporto che dipende dal restituire. Penso che le normative economiche e ambientali siano una grande parte del mantenimento dell’equilibrio. Dobbiamo così tanto ai sistemi ambientali che ci sostengono fisicamente, economicamente e spiritualmente. I sistemi hanno bisogno di noi per aiutarli, anche per completarli. La reciprocità manca in molte industrie estrattive. Non vi è prendere senza dare indietro, senza riconoscere il prezzo pieno o l’impatto ambientale della produzione. Questo prezzo viene trasferito ai bambini che vivono nei luoghi in cui vengono estratte le risorse naturali, e questo non è molto giusto. Quella parte della storia non è sempre discussa quando gli studenti studiano scienze a scuola. Se non abbiamo leggi che proteggono le risorse e le persone che si affidano a loro, i bambini erediteranno sistemi carenti e in alcuni casi l’inquinamento che può farli ammalare. Le persone l’hanno imparato questo facendo grandi errori in passato. Le leggi sono state sviluppate, ma c’è un sacco di spazio per migliorare.

I tuoi personaggi hanno vite tragiche. Quanto ti è pesato identificarsi con loro?

È stato doloroso vivere nei loro cuori, ma ho dovuto. Non posso fare a meno di essere coinvolta con i miei personaggi quando scrivo. Mi immergo nella loro vita. Sono sempre con me, e ci sono stati momenti nella mia vita in cui i miei personaggi erano tutto quello che avevo. Scrivere in questo modo è difficile ma gratificante. È l’unico modo che conosco per raccontare storie. È davvero complicato per me prendere le distanze, o seguirli a un livello superficiale. Personalmente, osservo così tanto di persone e luoghi, che è impossibile per me scartare qualcosa. Sento che tutti i dettagli strazianti e le verità nascoste sono le parti più interessanti delle persone, quindi è su questo che mi concentro.

Tutti i personaggi hanno qualche storia da raccontare. Le loro stesse vite sembrano fatte di storie. Dal tuo punto di vista, cosa rende efficace una buona storia?

Penso che sia una buona storia se cambia o migliora il modo in cui vedi le cose. Se leggere una storia illumina la saggezza che è guidata da una verità archetipica, e la si può applicare alla propria vita. Tutti abbiamo i nostri punti ciechi, e le storie sono un modo di mostrare la verità in un modo che non avresti mai pensato da solo.

Quali sono state le fonti letterarie che ti hanno influenzato mentre scrivevi I ragazzi di Cota Street?

Sono stata ispirata in particolare da Il Dio delle piccole cose di Arundhati Roy. Quel romanzo ha una storia retrospettiva e una reiterazione delle immagini molto simili. A parte quello, mi ha influenzato tutto ciò che stavo leggendo in quel momento. Ero particolarmente affascinata dal lavoro di S. E. Hinton, Toni Morrison, William S. Burroughs, Joyce Carol Oates, Sherman Alexie, Langston Hughes, Ralph Ellison, Paul Beatty, Annie Proulx e da libri come Vorrei essere mio fratello e Il cielo è fatto di lei e di me di Markus Zusak. Ho letto anche un sacco di poesia. Questo include la poesia di amici e persone nella mia comunità. Durante il periodo in cui ho scritto I ragazzi di Cota Street, c’era una caffetteria in una città vicina chiamata The Matrix. Ogni mercoledì c’era una serata a microfono aperto, e io ci andavo in notti buie e piovose per sentire i musicisti suonare canzoni originali e ascoltare i poeti leggere i loro lavori. Mi ha sempre colpito che anche in una piccola comunità, ci sia talento artistico e espressione. C’è talento in tutte le comunità, ma in America soltanto la gente con determinate priorità riesce a vedersi pubblicata. 

La musica, e in particolare il rock’n’roll, ha un ruolo costante e importante nello sviluppo del romanzo. Quanto è stata importante per te?

Amo la musica. È importante per me, e una parte enorme della mia vita personale. La musica mi ha sicuramente aiutato a superare alcuni momenti difficili, e penso che sia vero anche per molte altre persone. Quando ho scritto I ragazzi di Cota Street ho usato le canzoni come strumento di scrittura. Guidavo da sola, e la musica spesso aiutava a evocare certe scene. Ho ascoltato alcuni album ripetutamente fino a quando tutto è diventato chiaro. Prima che nascesse mio figlio, suonavo la chitarra e scrivevo canzoni. A volte, le canzoni che ho scritto sono diventate capitoli. Le due forme d’arte sembravano costruire l’una dall’altra, e in questo modo, la musica è diventata parte del libro.

Quanto la pubblicazione del tuo primo libro ha influito sulla tua scrittura?

Prima di tutto, ho realizzato che ho dovuto mettere più tempo verso la scrittura. Prima di allora stavo cercando di bilanciare due carriere: lavoro scientifico e scrittura freelance. Ho cercato di ottenere lavori stagionali, in modo da poter avere tempo libero in inverno per scrivere. Quando ho lavorato tutto l’anno, ho trascorso i miei week-end a scrivere. Dopo la nascita di mio figlio avevo ancora meno tempo. Ero una madre single, quindi sentivo di dover abbandonare del tutto il lavoro scientifico sul campo. All’inizio ero triste, perché amavo lavorare all’aperto, e mi sono sempre presa cura degli animali. Poco prima della pubblicazione di I ragazzi di Cota Street, ho iniziato a lavorare part-time come responsabile di un database ambientale, che mi ha dato più tempo per la maternità e la scrittura. Dopo che il libro è stato pubblicato, ho capito che era qualcosa di davvero speciale che non tutti riescono a fare. Ho voluto dedicarci ancora più tempo. Ho lasciato perdere molte cose, che potrò sempre riprendere, ma in questo momento sento di dovermi dedicare soprattutto alla scrittura.

Infine, ci sarà un seguito per I ragazzi di Cota Street? Alcuni passaggi potrebbero lasciarlo intendere. Comunque, ci puoi parlare dei tuoi prossimi progetti?

Non credo ci sarà un seguito di I ragazzi di Cota Street. Penso che sia un libro unico. O meglio, non so se posso tornarci. Non adesso comunque. Ma sto lavorando ad un nuovo libro intitolato Little Fish. Questo nuovo romanzo parla della trota steelhead, la forma anadroma (un pesce che risale le correnti all’epoca della riproduzione) della trota iridea. Parla di amore, omicidio ed estinzione. La storia è raccontata dalla prospettiva di fantasmi della classe operaia e amanti della natura che sono ossessionati con la rimozione di un ponte che uccide i pesci. Ho sempre amato la trota salmonata ed è stato divertente scriverne. Sono pesci dinamici, reattivi e misteriosi. Faccio ricerche su di loro da anni, e continuano a sorprendermi. Sono in soggezione per la loro impavida indipendenza. Questi pesci sono combattenti e mi ispirano a combattere per loro.


 


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