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The ballad of Huddie Ledbetter

- a cura di Fabio Cerbone -


Edmond G. Addeo, Richard M. Garvin
Lead Belly. Il grande romanzo di un Re del blues
[Shake, pp. 304]

L’inizio è mito, come deve essere quando si affronta il mistero del blues, intriso degli umori e delle credenze del voodoo, di qualcosa di ancestrale nella forma e nello sviluppo: da qualche parte sul lago Caddo, tra i bayou al confine fra Louisiana e Texas una donna mette al mondo un bambino che diventerà un “gigante”, in tutti i sensi. Huddie Ledbetter, per qualche tempo spacciatosi come Walter Boyd per sfuggire alla legge, poi soltanto Lead Belly, "pancia di piombo": più personalità a rappresentare la sua stessa figura, luminosa nella voce e nel poderoso battito ritmico sulla chitarra, ma anche contraddittoria, scostante, dotata di fascino e di luoghi oscuri, sempre in bilico tra verità e menzogna, ma solo per alimentarne la leggenda.

È naturale dunque che Edmond G. Addeo e Richard M. Garvin, autori di Lead Belly. Il grande romanzo di un re del blues, abbiano scelto la strada meno comoda e forse la più facile da mettere sotto accusa, quella di togliere di mezzo il semplice dato biografico e di costruire invece una storia tra realtà e finzione, un racconto che possiede le stesse falle e lo stesso enigma di una ballata blues passata di mano in mano. Un romanzo biografico o una biografia romanzata, fate voi, questo libro a cinquant’anni dalla sua prima stesura non ha perso la particolare attrattiva di narrare uno dei padri del folklore musicale americano dalla prospettiva, sempre imprevedibile pagina dopo pagina, di una ricostruzione della vita di Lead Belly che ha più a che fare con il magico che non con la ricerca storica vera e propria, quest'ultima magari infarcita di noiose date, discografie e musicisti. Lo sottolinea anche uno degli autori, Addeo, nella nota introduttiva che aggiorna la pubblicazione: non ci sono nuove “informazioni” da aggiungere al racconto, allor quando qualche nuovo editore perplesso gliele chiede prima di decidere se procedere con una ristampa. È già tutto qui, in un lavoro che ha certo coinvolto Addeo e Garvin nel ripristino delle fonti, delle testimonianze, nel ritrovamento di amici e parenti che ne potessero ripercorrere passo dopo passo la rocambolesca vita, ma che alla fine ha preferito l’immaginazione e il sentimento alla pura e semplice annotazione dei dati.

Ne è uscito un libro con due anime, a tratti indeciso se prendere una via piuttosto che l’altra, ma il più delle volte efficace nel restituire gli scenari, le parlate, persino gli odori che hanno scandito l’esistenza di Lead Belly, uomo semplice e complesso allo stesso modo, dolcissimo quando canta per un nugolo di bambini che gli si raccolgono intorno, violento nelle sue esplosioni di rabbia (e spesso frutto di naturale autodifesa in un mondo brutale e schiavista). Bluesman ma non solo, folksinger e altro ancora, Lead Belly rappresenta un unicum nella storia dell’american music: ha attraversato mezzo secolo del Novecento facendo da anello di congiunzione fra quella tradizione orale, scandita nella notte dei tempi, dei canti e delle ballad in tutte le loro forme raccattate per i campi della sua Louisiana, del vicino Texas e più in generale di un sud martoriato dalla povertà e dall’ignoranza, e la nuova alba delle registrazioni sonore, delle prime ricerche sul terreno del folklore operate da personaggi come John Lomax e il figlio Alan (per i quali Lead Belly diventerà una guida, e pure l’autista personale per un breve periodo), fino alle luci della ribalta dei teatri di New York, dove avrebbe fatto amicizia tra gli altri con Woody Guthrie e Pete Seeger, di Hollywood e persino di Parigi.

È finanche riduttivo descrivere Lead Belly come “Re del blues”, perché lui era semmai, e ci teneva a sottolinearlo, il “Re della dodici corde”, che sapeva dominare vecchi spiritual e canzoni scollacciate, balli da cortile e blues ancestrali, marcette folk e antiche ballate, un incantatore di folle e un narratore della migliore specie, quella itinerante, che per sessantuno anni di vita ha visto in faccia la discriminazione, la miseria, l’estrema violenza ed esclusione della società americana, alla fine rendendosi conto di essere stato un “buon negro”, troppo spesso sfruttato dai presunti amici bianchi. Addeo e Garvin compiono un difficile e riuscito lavoro di rievocazione di questo mondo, affidandosi ai dialoghi e alle parlate della gente di Lead Belly (i genitori, le mogli, i cugini, gli amici) e del protagonista stesso, mediando fra il dialetto patois parlato nelle comunità rurali della Louisiana e in generale l’espressività del popolo nero che viveva al tempo stesso in simbiosi e in antitesi con i padroni bianchi.

Logico immaginare che nell’opera di traduzione un poco di tutto ciò si perda, ma la resa scorrevole e avvincente del racconto sopperisce alla mancanza: Lead Belly. Il grande romanzo di un re del blues si trasforma così in una vera odissea umana, quella che ha accompagnato un giovane ragazzo innamorato della musica (e delle donne, tante, forse troppe e non sempre trattate con i guanti...) verso luoghi bui ed errori fatali (omicidi compresi), finendo in famigerati e durissimi campi di lavoro o nelle carceri disumane di Huntsville in Texas e Angola, in Louisiana, scappando più volte e ottenendo miracolosamente altrettante grazie dai governatori di turno, incantati dalle sue lusinghe musicali. Già, perché la storia di Lead Bely è rocambolesca proprio nella sua imponderabile “mistificazione”, quella che gli è servita a diventare un mito oltre la morte, a insinuarsi anche nelle fondamenta del rock’n’roll (entrando addirittura nella Hall of Fame): che sia tutto vero quello raccontato in questo romanzo non ha molta importanza, che sia verosimile sicuramente sì, perché tra whisky e donne fatali, juke joint e bordelli, ammazzamenti, accoltellate e prigioni, è sempre quella voce tonante a riemergere in superficie, quella di Irene (Goodnight l’avrebbero aggiunta dopo, facendone un successo mondiale), di Rock Island Line, di Midnight Special...


    


 


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